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25

Fabrizio De André - Album
1996: Anime Salve

  Prinçesa
Khorakhanè
Anime Salve
Dolcenera
Le Acciughe Fanno Il Pallone
Disamistade
'A Cùmba
Ho Visto Nina Volare
Smisurata Preghiera

"Noi simme cori aridi
nimici de la pace
quando due cori s'ammano
noi tutti ci dispiace"
(Anonimo campano del XX Secolo)

Prinçesa
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Sono la pecora, sono la vacca,
che agli animali si vuol giocare,
sono la femmina "camicia aperta",
piccole tette da succhiare.
Sotto le ciglia di questi alberi,
nel chiaroscuro dove son nato,
che l'orizzonte prima del cielo
ero lo sguardo di mia madre,
"che Fernandiño è come una figlia,
mi porta a letto caffè e tapioca,
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l'istinto sarà la vita";
e io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica.
Nel dormiveglia della corriera
lascio l'infanzia contadina,
corro all'incanto dei desideri,
vado a correggere la fortuna;
nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni,
ad albeggiare sarà magia,
saranno seni miracolosi,
perché Fernanda è proprio una figlia,
come una figlia vuol far l'amore,
ma Fernandiño resiste e vomita
e si contorce dal dolore;
e allora il bisturi per seni e fianchi,
una vertigine di anestesia,
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia.
Sorriso tenero di verdefoglia,
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita,
dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende,
nella mia carne, tra le mie labbra
un uomo scivola, l'altro s'arrende;
che Fernandiño mi è morto in grembo,
Fernanda è una bambola di seta,
sono le braci di un'unica stella
che squilla di luce di nome Prinçesa.
A un avvocato di Milano
ora Prinçesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone.
O matu (la campagna)
o cèu (il cielo)
a senda (il sentiero)
a escola (la scuola)
a igreja (la chiesa)
a desonra (la vergogna)
a saia (la gonna)
o esmalte (lo smalto)
o espelho (lo specchio)
o batòn (il rossetto)
o medo (la paura)
a rua (la strada)
a bombadeira (la modellatrice)
a vertigem (la vertigine)
o encanto (l'incantesimo)
a magia(la magia)
os carros (le macchine)
a polìcia (la polizia)
a canseira (la stanchezza)
o brio (la dignità)
o noivo (il fidanzato)
o capanga (lo sgherro)
o fidalgo (il gransignore)
o porcalhao (lo sporcaccione)
o azar (la sfortuna)
a bebedeira (la sbronza)
as pancadas (le botte)
os carinhos (le carezze)
a falta (il fallimento)
o nojo (lo schifo)
a formusura (la bellezza)
vivèr. (vivere).
"Prinçesa" è liberamente tratta dall'omonimo romanzo-intervista di Maurizio Jannelli a Fernanda Farias De Albuquerque.

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Khorakhanè (A Forza Di Essere Vento)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Il cuore rallenta e la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento,
a quel campo strappato dal vento,
a forza di essere vento.
Porto il nome di tutti i battesimi,
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado, una terra, una nuvola, un canto,
un diamante nascosto nel pane,
per un solo dolcissimo umore del sangue,
per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso,
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro;
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano,
i segreti che fanno paura,
finchè un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace.
I figli cadevano dal calendario,
Iugoslavia, Polonia, Ungheria:
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via;
e poi Mirka a San Giorgio (*) di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere e a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi,
e dagli occhi cadere.
Ora alzatevi, spose bambine,
che è venuto il tempo di andare:
con le vene celesti dei polsi,
anche oggi si va a caritare;
e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e fortuna,
allo specchio di questa kampina (**),
ai miei occhi limpidi come un addio,
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio.
Cvava sero po tute (Poserò la testa sulla tua spalla)
i kerava (e farò)
jek sano ot mori (un sogno di mare)
i taha jek jak kon kasta (e domani un fuoco di legna)
vasu ti baro nebo (perché l'aria azzurra)
avi ker. (diventi casa).
Kon ovla so mutavia, (Chi sarà a raccontare)
kon ovla, (chi sarà)
ovla kon ascovi. (sarà chi rimane).
Me gava palan ladi, (Io seguirò questo migrare)
me gava (seguirò)
palan bura ot croiuti. (questa corrente di ali).
"Khorakhanè": Tribù rom di provenienza serbo-montenegrina.
Traduzione di Giorgio Bozzecchi (rom harvato).
(*) - "San Giorgio": Festa annuale del popolo rom nel sud della Francia.
(**) - "Kampina": Baracca da campo dei rom.

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Anime Salve
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati; cantata a due voci con Ivano Fossati)
Mille anni al mondo, mille ancora:
che bell'inganno sei, anima mia,
e che bello il mio tempo, che bella compagnia.
Sono giorni di finestre adornate,
canti di stagione,
anime salve in terra e in mare.
Sono state giornate furibonde,
senza atti d'amore,
senza calma di vento,
solo passaggi e passaggi,
passaggi di tempo.
Ore infinite come costellazioni e onde,
spietate come gli occhi della memoria,
altra memoria e non basta ancora,
cose svanite, facce, e poi il futuro.
I futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri,
saranno cacce coi cani e coi cinghiali,
saranno rincorse, morsi e affanni per mille anni.
Mille anni al mondo, mille ancora:
che bell'inganno sei, anima mia,
e che grande il mio tempo, che bella compagnia.
Mi sono spiato illudermi e fallire,
abortire i figli come i sogni,
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve,
mi sono visto che ridevo,
mi sono visto di spalle che partivo.
Ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo.
Mille anni al mondo, mille ancora:
che bell'inganno sei, anima mia,
e che grande questo tempo, che solitudine,
che bella compagnia.

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Dolcenera
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Amìala ch'â l'arìa, amìa cum'â l'è, cum'â l'é, (Guardala che arriva, guarda com'è, com'è)
amìala cum'â l'arìa, amìa ch'â l'è lé, ch'â l'è lé, (guardala come arriva, guarda che è lei, che è lei)
amìala cum'â l'arìa, amìa, amìa cum'â l'é, (guardala come arriva, guarda, guarda com'è)
amìala ch'à l'arìa, amìa ch'â l'è lé, ch'â l'è lé. (guardala come arriva, guarda che è lei, che è lei).
Nera che porta via, che porta via la via,
nera che non si vedeva da una vita intera così Dolcenera, nera;
nera che picchia forte, che butta giù le porte.
Nu l'è l'aegua ch'à fá baggiâ, (Non è l'acqua che fa sbagliare)
imbaggiâ, imbaggiâ. (ma chiudere porte e finestre, chiudere porte e finestre).
Nera di malasorte che ammazza e passa oltre,
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna, luna,
nera di falde amare che passano le bare.
Âtru da stamûâ (Altro da traslocare)
â nu n'á, â nu n'á. (non ne ha, non ne ha).
Ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere,
che è venuta per me,
è arrivata da un'ora
e l'amore ha l'amore come solo argomento
e il tumulto del cielo ha sbagliato momento.
Acqua che non si aspetta, altro che benedetta,
acqua che porta male, sale dalle scale, sale senza sale, sale,
acqua che spacca il monte, che affonda e terra e ponte.
Nu l'è l'eagua de 'na rammâ (Non è l'acqua di un colpo di pioggia)
'n calabà, 'n calabà. (ma un gran casino, un gran casino).
Ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare,
quando ingorga gli anfratti, si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda,
e la lotta si fa scivolosa e profonda.
Amìala cum'â l'arìa, amìa cum'â l'è, cum'â l'é, (Guardala come arriva, guarda com'è, com'è)
amìala cum'â l'arìa, amìa ch'â l'è lé, ch'â l'è lé. (guardala come arriva, guarda che è lei, che è lei).
Acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti,
acqua per fotografie, per cercare i complici da maledire,
acqua che stringe i fianchi, tonnara di passanti.
Âtru da cammalâ (Altro da mettersi in spalla)
â nu n'à, â nu n'à. (non ne ha, non ne ha).
Oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita,
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi.
Acqua che ha fatto sera, che adesso si ritira,
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente,
fredda come un dolore, Dolcenera senza cuore.
Âtru da rebellâ (Altro da trascinare)
â nu n'à, â nu n'à (non ne ha, non ne ha).
E la moglie di Anselmo sente l'acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle,
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza.
Così fu quell'amore dal mancato finale,
così splendido e vero da potervi ingannare.
Amìala ch'â l'arìa, amìa cum'â l'è, cum'â l'é, (Guardala che arriva, guarda com'è, com'è)
amìala cum'â l'arìa, amìa ch'â l'è lé, ch'â l'è lé, (guardala come arriva, guarda che è lei, che è lei)
amìala cum'â l'arìa, amìa, amìa cum'â l'é, (guardala come arriva, guarda, guarda com'è)
amìala ch'à l'arìa, amìa ch'â l'è lé, ch'â l'è lé. (guardala come arriva, guarda che è lei, che è lei).
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Le Acciughe Fanno Il Pallone
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Le acciughe fanno il pallone,
ché sotto c'è l'alalunga:
se non butti la rete
non te ne lascia una
e alla riva sbarcherò,
alla riva verrà la gente,
questi pesci sorpresi
li venderò per niente.
Se sbarcherò alla foce
e alla foce non c'è nessuno,
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
amo per amo
c'è una stella che trema;
ogni tre lacrime
batte la campana.
Passan le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro,
passan sotto le reti
che asciugano sul muro
e in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente,
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola,
ogni tre notti
un sogno che mi consola.
Bottiglia legata stretta
come un'esca da trascinare,
sorso di vena dolce
che liberi dal male,
se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere,
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola,
ogni balcone
una bocca che m'innamora.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola,
ogni balcone
una bocca che m'innamora.
Le acciughe fanno il pallone,
ché sotto c'è l'alalunga:
se non butti la rete,
non te ne resta una,
non te ne lascia una,
non te ne lascia.

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Disamistade
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Che ci fanno queste anime
davanti alla chiesa,
questa gente divisa,
questa storia sospesa?
A misura di braccio,
a distanza di offesa,
che alla pace si pensa,
che la pace si sfiora;
due famiglie disarmate di sangue
si schierano a resa
e per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà.
Si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore,
il lamento di un cane abbattuto
da un'ombra di passo;
si soddisfa di brevi agonie
sulla strada di casa,
uno scoppio di sangue,
un'assenza apparecchiata per cena.
E a ogni sparo di caccia all'intorno
si domanda fortuna.
Che ci fanno queste figlie
a ricamare e a cucire,
queste macchie di lutto
rinunciate all'amore?
Fra di loro si nasconde
una speranza smarrita,
che il nemico la vuole,
che la vuol restituita.
E una fretta di mani sorprese
a toccare le mani,
che dev'esserci un modo di vivere
senza dolore,
una corsa degli occhi negli occhi
a scoprire che invece
è soltanto un riposo del vento,
un odiare a metà
e alla parte che manca
si dedica l'autorità.
Che la "disamistade" (*)
si oppone alla nostra sventura,
questa corsa del tempo
a sparigliare destini e fortuna.
Che ci fanno queste anime
davanti alla chiesa,
questa gente divisa,
questa storia sospesa?
(*) - "Disamistade": in lingua sarda letteralmente "disamicizia" e per estensione "faida".

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'A Cùmba
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati; cantata a due voci con Ivano Fossati)
Gh'aivu 'na bella cúmba ch'â l'è xeûa fòea de cá,
giánca cum'â néie ch'â desléngue a cian d'â sâ.

Duv'à l'è? Duv'à l'è? Dúve, duv'â l'è?
Che l'hán vursciûa védde cegâ l'á a stú casâ,
spéita cúme l'áigua ch'â derua zû p'oú riá.

Nu ghe n'è, nu ghe, nu ghe n'è, nu ghe n'è.
Cáu oú mè zuenótto, ve pórta miga na smangiaxún,
che se cusci fise puriésci anávene 'n gattixún.

Nu ghe n'è, nu ghe n'è, nu ghe n'è, nu ghe, nu ghe n'è.
Végnu d'â câ du ráttu ch'oú magún oú sliga i pê.
Chí de cúmbe d'âtri nu n'è vegnûe, nu se n'è pôsé.
Végnu c'oú côeu maróttu de 'na pasciún che nu ghe n'è, nu ghe n'è.
Chí gh'è 'na cúmba giánca ch'â nu l'è â vostra, ch'â l'é a mê; nu ghe n'è.
Âtre nu ghe n'è, âtre nu ghe n'è, nu ghe n'è.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
â l'é xêuâ, â l'é xêuâ
au cián d'â s'â.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
de nôette â l'é xêuâ
áu cián d'oú pán.
Vuí nu vuriésci dámela sta cúmba da maiâ,
giánca cum'â néie ch'â deslengue 'nt oú riá.

Nu ghe n'è, nu ghe n'è.
Mié che sta cúmba bèlla, â stá de lûngu a barbacíu
che nu m'â pôsse védde à scricchî 'nté n'âtru níu.

Nu ghe n'è, nu ghe n'è, nu ghe n'è.
 tegnió à dindánase sutt'à 'n angióu de meigranâ,
cu'â cûa ch'oú l'ha d'â sèa â mán lingéa d'oú bambaxia.

Dúve, duv'â l'è? Dúve, duv'â l'è? Duv'â l'è? Duv'â l'è?
Zuenu ch'âei bén parlóu 'nte sta seián-a de frevà.
 tegnió à dindánase sutt'à 'n angióu de meigranâ.
Saêi che sta cúmba à mázu a xêuâ d'â mê 'nt â vostra câ.
Cu'â cûa ch'oú l'ha d'â sèa â mán lingéa d'oú bambaxia.
Âtre nu ghe n'è, nu ghe, nu ghe n'è, âtre nu ghe n'è.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
de nôette â l'é xêuâ
au cián d'â s'â.
 truvián, â truvián
â cúmba giánca,
de mázu â truvián
áu cián d'oú pán.
Duv'à l'è, duv'à l'è
ch'â ne s'ascúnde?
Se maiá, se maiá
áu cián d'oú pán.
Cum'â l'é, cum'â l'é?
L'é cum'â néie
ch'â vén zû deslenguâ
da oú riâ.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
de mázu â truvián
áu cián d'â sâ.
Duv'à l'è, duv'à l'è
ch'â ne s'ascúnde?
Se maiá, se maiá
áu cián d'oú pán.
Cúmba, cumbétta,
béccu de sêa,
sérva à striggiún c'ou maiu 'n giandún,
Martín ou vá à pê
cun' l'âze deré,
foêgu de légne, ánime in çe.
Cúmba, cumbétta,
béccu de sêa,
sérva à striggiún c'ou maiu 'n giandún,
Martín ou vá à pê
cun' l'âze deré,
foêgu de légne, ánime in çe.
Pretendente: voce di Ivano Fossati.
Padre: voce di Fabrizio De André.
Ultima parte: pretendente e padre insieme.
Traduzione dal genovese: "La Colomba"
Avevo una bella colomba che è volata fuori casa,
bianca come la neve che si scioglie a pian del sale.
Dov'è? Dov'è? Dov'è?
Che l'hanno vista piegare le ali verso questo casale,
veloce come l'acqua che precipita dal rio.
Non ce n'è, non ce n'è, non ce n'è.
Caro il mio giovanotto, non vi porta mica qualche prurito,
che se così fosse potreste andarvene in giro per amorazzi.
Non ce n'è, non ce n'è, non ce n'è.
Vengo dalla casa del topo che l'angoscia slega i piedi.
Qui di colombe d'altri non ne son venute, non se ne son posate.
Vengo con il cuore malato di una passione che non ha uguali.
Qui c'è una colomba bianca che non è la vostra, che è la mia; non ce n'è.
Non ce n'è altre, non ce n'è, non ce n'è altre, non ce n'è.
E' volata, è volata
la colomba bianca,
di notte è volata
a pian del sale.
La troveranno, la troveranno
la colomba bianca,
di maggio la troveranno
a pian del pane.
Voi non vorreste darmela questa colomba da maritare,
bianca come la neve che si scioglie nel rio.
Non ce n'è, non ce n'è.
Guardate che bella colomba, è abituata a cantare in allegria,
che io non la debba mai vedere stentare in un altro nido.
Non ce n'è, non ce n'è, non ce n'è.
La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni,
con la cura che ha della seta la mano leggera del bambagiaio.
Dov'è? Dov'è? Dov'è? Dov'è?
Giovane che avete ben parlato in questa sera di febbraio.
La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni.
Sappiate che questa colomba a maggio volerà dalla mia nella vostra casa.
Con la cura che ha della seta la mano leggera del bambagiaio.
Non ce n'è altre,non ce n'è, altre non ce n'è.
E' volata, è volata
la colomba bianca,
di notte è volata
a pian del sale.
La troveranno, la troveranno
la colomba bianca,
di maggio la troveranno
a pian del pane.
Dov'è, dov'è
che ci si nasconde?
Si sposerà,si sposerà
a pian del pane.
Com'è, com'è?
E' come la neve
che viene giù sciolta dal rio.
E' volata, è volata
la colomba bianca,
di maggio la troveranno
a pian del sale.
Dov'è, dov'è
che ci si nasconde?
Si sposerà, si sposerà
a pian del pane.
Colomba, colombina,
becco di seta,
serva a strofinare per terra col marito a zonzo,
Martino va a piedi
con l'asino dietro,
fuoco di legna, anime in cielo.
Colomba, colombina,
becco di seta,
serva a strofinare per terra col marito a zonzo,
Martino va a piedi
con l'asino dietro,
fuoco di legna, anime in cielo.

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Ho Visto Nina Volare
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Mastica e sputa
da una parte il miele,
mastica e sputa
dall'altra la cera,
mastica e sputa
prima che venga neve.
Luce, luce lontana,
più bassa delle stelle:
sarà la stessa mano
che ti accende e ti spegne?
Ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena,
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena.
E se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese,
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare.
Mastica e sputa
da una parte il miele,
mastica e sputa
dall'altra la cera,
mastica e sputa
prima che faccia neve.
Stanotte è venuta l'ombra,
l'ombra che mi fa il verso,
le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso.
E se lo sa mio padre
mi metterò in cammino,
se mio padre lo sa
mi imbarcherò lontano.
Mastica e sputa
da una parte la cera,
mastica e sputa
dall'altra parte il miele,
mastica e sputa
prima che metta neve.
Ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena,
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena.
Luce, luce lontana,
che si accende e si spegne:
quale sarà la mano
che illumina le stelle?
Mastica e sputa
prima che venga neve.

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Smisurata Preghiera
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri,
china e distante sugli elementi del disastro,
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà, di impunità.
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera,
la maggioranza sta, la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine,
di millenarie paure,
di inesauribili astuzie,
coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie,
la maggioranza sta,
come una malattia,
come una sfortuna,
come un'anestesia,
come un'abitudine.
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore,
di umanità, di verità.
Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità.
Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti
alle leggi del branco,
non dimenticare il loro volto,
ché dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti,
come una svista,
come un'anomalia,
come una distrazione,
come un dovere.

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