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25

Fabrizio De André - Album
1979: In Concerto, Arrangiamenti PFM (Vol. 1)

  Bocca Di Rosa
Andrea
Giugno '73
Un Giudice
La Guerra Di Piero
Il Pescatore
Zirichiltaggia
La Canzone Di Marinella
Volta La Carta
Amico Fragile

Bocca Di Rosa (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
La chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore sopra ogni cosa.
Appena scesa alla stazione
del paesino di Sant'Ilario,
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.
C'è chi l'amore lo fa per noia,
chi se lo sceglie per professione,
Bocca di Rosa nè l'uno nè l'altro,
lei lo faceva per passione.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
E fu così che da un giorno all'altro
Bocca di Rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
Ma le comari d'un paesino
non brillano certo in iniziativa,
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie,
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.
E, rivolgendosi alle cornute,
le apostrofò con parole argute:
"il furto d'amore sarà punito",
disse, "dall'ordine costituito".
E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
"quella schifosa ha già troppi clienti,
più di un consorzio alimentare".
Ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi, con i pennacchi,
ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi e con le armi.
Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri,
ma quella volta a prendere il treno
l'accompagnarono malvolentieri.
Alla stazione c'erano tutti,
dal commissario al sacrestano,
alla stazione c'erano tutti,
con gli occhi rossi e il cappello in mano,
a salutare chi per un poco,
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l'amore nel paese.
C'era un cartello giallo
con una scritta nera,
diceva "Addio Bocca di Rosa,
con te se ne parte la primavera".
Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale,
come una freccia dall'arco scocca,
vola veloce di bocca in bocca.
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva,
chi manda un bacio, chi getta un fiore,
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza,
fra un miserere e un'estrema unzione,
il bene effimero della bellezza,
la vuole accanto in processione.
E con la Vergine in prima fila
e Bocca di Rosa poco lontano,
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano.

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Andrea (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Andrea si è perso, si è perso, non sa tornare;
Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare.
Andrea aveva un amore: "Riccioli Neri";
Andrea aveva, aveva un dolore: "Riccioli Neri".
C'era scritto sul foglio che era morto, sulla bandiera;
c'era scritto e la firma era d'oro, era firma di re.
Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia;
ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.
Occhi di bosco, contadino del Regno, profilo francese;
occhi di bosco, soldato del Regno, profilo francese.
E Andrea l'ha perso, ha perso l'amore: la perla più rara;
e Andrea ha in bocca, ha in bocca un dolore: la perla più scura.
Andrea coglieva, raccoglieva violette ai bordi del pozzo;
Andrea gettava "Riccioli Neri" nel cerchio del pozzo.
Il secchio gli disse, gli disse: "Signore, il pozzo è profondo;
più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto".
Lui disse "Mi basta, mi basta che sia più profondo di me";
lui disse "Mi basta, mi basta che sia più profondo di me".

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Giugno '73 (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Tua madre ce l'ha molto con me
perché sono sposato e in più canto,
però canto bene e non so se tua madre
sia altrettanto capace a vergognarsi di me.
La gazza che ti ho regalato
è morta, tua sorella ne ha pianto,
quel giorno non avevano fiori, peccato,
quel giorno vendevano gazze parlanti.
E speravo che avrebbe insegnato a tua madre
a dirmi "ciao come stai",
insomma non proprio a cantare,
per quello ci sono già io, come sai.
I miei amici sono tutti educati con te,
però vestono in modo un po' strano,
mi consigli di mandarli da un sarto e mi chiedi
"Sono loro stasera i migliori che abbiamo?".
E adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa
nell'imbuto di un polsino slacciato.
I miei amici ti hanno dato la mano,
li accompagno, il loro viaggio porta un po' più lontano.
E tu, aspetta un amore più fidato,
il tuo accendino, sai, io l'ho già regalato
e lo stesso quei due peli di elefante,
mi fermavano il sangue,
li ho dati a un passante.
Poi il resto viene sempre da sè,
i tuoi "aiuto" saranno ancora salvati,
io mi dico "è stato meglio lasciarci
che non esserci mai incontrati".

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Un Giudice (PFM)
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Cosa vuol dire avere
un metro e mezzo di statura?
Ve lo rivelan gli occhi
e le battute della gente,
o la curiosità
d'una ragazza irriverente
che vi avvicina solo
per un suo dubbio impertinente:
vuole scoprir se è vero
quel che si dice intorno ai nani,
che siano i più forniti
della virtù meno apparente,
tra tutte le virtù
la più indecente.
Passano gli anni, i mesi,
e, se li conti, anche i minuti,
è triste trovarsi adulti
senza essere cresciuti;
la maldicenza insiste,
batte la lingua sul tamburo,
fino a dire che un nano
è una carogna di sicuro
perché ha il cuore toppo,
troppo vicino al buco del culo.
Fu nelle notti insonni,
vegliate al lume del rancore,
che preparai gli esami,
diventai un procuratore
per imboccar la strada
che dalle panche d'una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d'un tribunale,
giudice finalmente,
arbitro in terra del bene e del male.
E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva "Vostro Onore",
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi
nell'ora dell'addio,
non conoscendo affatto
la statura di Dio.

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La Guerra Di Piero (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.
"Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati,
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente".
Così dicevi ed era d'inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati, Piero, fermati adesso,
lascia che il vento ti passi un po' addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava,
con le stagioni a passo di "giava"
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
E, mentre marciavi con l'anima in spalle,
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli, Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra a coprire il suo sangue.
"E se gli sparo in fronte o nel cuore,
soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore".
E mentre gli usi questa premura,
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l'artiglieria,
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra, senza un lamento,
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono per ogni peccato.
Cadesti a terra, senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.
Ninetta mia, crepare di maggio,
ci vuole tanto troppo coraggio,
Ninetta bella, dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno.
E, mentre il grano ti stava a sentire,
dentro le mani stringevi il fucile,
dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.

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Il Pescatore (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
All'ombra dell'ultimo sole,
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino,
due occhi grandi da bambino,
due occhi enormi di paura:
eran gli specchi d'un'avventura.
E chiese al vecchio "dammi il pane,
ho poco tempo e troppa fame"
e chiese al vecchio "dammi il vino,
ho sete e sono un assassino".
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno,
non si guardò neppure intorno,
ma versò il vino, spezzò il pane
per chi diceva "ho sete, ho fame".
E fu il calore d'un momento,
poi via di nuovo verso il vento,
poi via di nuovo verso il sole,
dietro le spalle un pescatore.
Dietro le spalle un pescatore,
e la memoria è già dolore,
è già il rimpianto d'un aprile
giocato all'ombra d'un cortile.
Vennero in sella due gendarmi,
vennero in sella con le armi,
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole,
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso;
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.

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Zirichiltaggia (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Di chissu che babbu c'ha lacátu la meddu palte ti sei presa,
lu muntiggiu rúiu cu lu súaru, li àcchi sulcini, lu trau mannu
e m'hai laccatu monti, múccju e zirichèlti.
Ma tu ti sei tentu lu riu e la casa e tuttu chissu che v'era 'ndentru:
li piri bbutirro e l'oltu cultiato e dapói di sei mesi che mi n'era 'ndatu,
parìa un campusantu bumbaldatu.
Ti ni sei andatu a campà cun li signori, fènditi comandà da to muddèri
e li soldi di babbu l'hai spesi tutti in cosi boni, midicini e giornali,
che to fiddòlu a cattr'anni aja jà l'ucchjali.
Ma me muddèri campa da signora e me fiddòlu cunnosci più di milli paráuli,
la òja è mugnendi di la manzàna a la sera
e li toi fiddòle so brutte di tarra e di lozzu
e andaràni a cuicàssi a calche ziràccu.
Candu tu sei paltutu suldatu piagnii come unu stèddu
e da li babbi di li toi amanti t'ha salvatu tu fratèddu
e si lu curàggiu che t'è filmatu, lu curàggiu è sempre chìddu,
chill'èmu a vidi in piazza ca l'ha più tostu lu murro,
e pa lu stantu ponimi la faccia in culu;
e pa lu stantu ponimi la faccia in culu.

Traduzione dal sardo: "Lucertolaio"
Di quello che papà ci ha lasciato la parte migliore ti sei presa,
la collina rossa con il sughero, le vacche sorcine, e il toro grande
e m'hai lasciato pietre, cisto e lucertole.
Ma tu ti sei tenuto il ruscello e la casa e tutto quello che c'era dentro:
le pere butirre e l'orto coltivato e dopo sei mesi che me n'ero andato,
sembrava un cimitero bombardato.
Te ne sei andato a vivere coi signori, facendoti comandare da tua moglie
e i soldi di papà li hai spesi tutti in dolciumi, medicine e giornali,
che il tuo figliolo a quattro anni aveva già gli occhiali.
Mia moglie vive da signora e mio figlio conosce più di mille parole,
la tua munge da mattina a sera e le tue figlie sono sporche di terra
e di letame e andranno a sposarsi qualche servo pastore.
Tu quando sei partito soldato piangevi come un bambinello
e dai padri delle tue amanti t'ha salvato tuo fratello
e se il coraggio che ti è rimasto è sempre quello,
in piazza vedremo chi ha la testa più dura,
e nel frattempo mettimi la faccia in culo;
e nel frattempo mettimi la faccia in culo.

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La Canzone Di Marinella (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera,
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella.
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno d'un amore,
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta.
Bianco come la luna il suo cappello,
come l'amore rosso il suo mantello,
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue l'aquilone.
E c'era il sole e avevi gli occhi belli,
lui ti baciò le labbra ed i capelli;
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi,
lui pose le sue mani sui tuoi fianchi.
Furono baci e furono sorrisi,
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle.
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta.
Questa è la tua canzone, Marinella,
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose;
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.

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Volta La Carta (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
C'è una donna che semina il grano:
volta la carta, si vede il villano;
il villano che zappa la terra:
volta la carta, viene la guerra;
per la guerra non c'è più soldati,
a piedi scalzi son tutti scappati.
Angiolina cammina cammina sulle sue scarpette blu,
carabiniere l'ha innamorata, volta la carta e lui non c'è più;
carabiniere l'ha innamorata, volta la carta e lui non c'è più.
C'è un bambino che sale un cancello,
ruba ciliegie e piume d'uccello,
tira sassate, non ha dolori:
volta la carta, c'è il fante di cuori.
Fante di cuori che è un fuoco di paglia:
volta la carta e il gallo ti sveglia.
Angiolina alle sei di mattina s'intreccia i capelli con foglie d'ortica,
ha una collana di ossi di pesca, la gira tre volte in mezzo alle dita;
ha una collana di ossi di pesca, la gira tre volte in mezzo alle dita.
Mia madre ha un mulino e un figlio infedele,
gli inzucchera il naso di torta di mele;
mia madre e il mulino son nati ridendo:
volta la carta, c'è un pilota biondo;
pilota biondo, camicie di seta,
cappello di volpe, sorriso da atleta.
Angiolina seduta in cucina che piange, che mangia insalata di more;
ragazzo straniero ha un disco d'orchestra che gira veloce, che parla d'amore;
ragazzo straniero ha un disco d'orchestra che gira, che gira, che parla d'amore.
Madamadorè ha perso sei figlie
e tra i bar del porto le sue meraviglie,
Madamadorè sa puzza di gatto:
volta la carta e paga il riscatto,
paga il riscatto con le borse degli occhi
pieni di foto di sogni interrotti.
Angiolina ritaglia giornali, si veste da sposa, canta vittoria,
chiama i ricordi col loro nome, volta la carta e finisce in gloria;
chiama i ricordi col loro nome, volta la carta e finisce in gloria.

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Amico Fragile (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Evaporato in una nuvola rossa,
in una delle molte feritoie della notte,
con un bisogno di attenzione e d'amore
troppo "se mi vuoi bene, piangi"
per essere corrisposti,
valeva la pena divertirvi le serate estive
con un semplicissimo "mi ricordo":
per osservarvi affittare un chilo d'erba
ai contadini in pensione e alle loro donne
e regalare a piene mani oceani
ed altre, ed altre onde ai marinai in servizio,
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli
senza rimpiangere la mia credulità.
Perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi,
ero molto più curioso di voi.
E poi sospeso tra i vostri "come sta?",
meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci,
tipo "come ti senti, amico, amico fragile?
Se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te",
"lo sa che io ho perduto due figli?",
"signora lei è una donna piuttosto distratta".
E, ancora, ucciso dalla vostra cortesia
nell'ora in cui un mio sogno,
ballerina di seconda fila,
agitava per chissà quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo cesareo fresco,
pensavo "è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra".
E, poi, seduto in mezzo ai vostri arrivederci,
mi sentivo meno stanco di voi;
ero molto meno stanco di voi.
Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta,
fino a vederle spalancarsi la bocca;
potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
di parlare ancora male ad alta voce di me;
potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo
con una scatola di legno che dicesse "perderemo";
potevo chiedervi come si chiama il vostro cane,
il mio è un po' di tempo che si chiama Libero;
potevo assumere un cannibale al giorno
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle;
potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse "Arrivederci".
E mai che mi sia venuto in mente
di essere più ubriaco di voi,
di essere molto più ubriaco di voi.

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