Chi sono
I miei libri
Blog
Luna
Lucky
Siti e gestionali
Fotografie
Video
Mantova Calcio
Cantautori
Scrittori
Altro
Contattami

25

Fabrizio De André - Album
2001: De André In Concerto (Vol. 2)

Pubblicato postumo

  Jamin-a
Le Acciughe Fanno Il Pallone
La Domenica Delle Salme
Disamistade
Fiume Sand Creek
Sidùn
Anime Salve
Don Raffae'
Ho Visto Nina Volare
'A Cùmba
Bocca Di Rosa
Smisurata Preghiera

Jamin-a (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Mauro Pagani)
Lengua 'nfeuga, Jamin-a,
lua de pelle scûa,
cu'a bucca spalancà,
morsciu de carne dûa,
stella neigra ch'a lûxe,
me veuggiu demuâ
'nte l'ûmidu duçe
de l'amë dû teu arveà.
Ma seu, Jamin-a,
ti me perdunié
se nu riûsciò a ésse porcu
cumme i teu pensë;
destacchete, Jamin-a,
lerfe de ûga spin-a,
fatt'ammiâ, Jamin-a,
roggiu de mussa pin-a
e u muru 'ntu sûù
sûgu de sä de cheusce
duve gh'è pei gh'è amù sultan-a de e bagascie,
dagghe cianìn, Jamin-a,
nu navegâ de spunda,
primma ch'à cuæ' ch'à munta e a chin-a
nu me se desfe 'nte l'unda,
e l'ûrtimu respiu, Jamin-a,
regin-a muaé de e sambe,
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe.
E l'ûrtimu respiu, Jamin-a,
regin-a muaé de e sambe,
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe.
E l'ûrtimu respiu, Jamin-a,
regin-a muaé de e sambe,
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe.

Traduzione dal genovese: "Jamina"
Lingua infuocata, Jamina,
lupa di pelle scura,
con la bocca spalancata,
morso di carne soda,
stella nera che brilla,
mi voglio divertire
nell'umido dolce
del miele del tuo alveare.
Sorella mia, Jamina,
mi perdonerai
se non riuscirò a essere porco
come i tuoi pensieri;
staccati, Jamina,
labbra di uva spina,
fatti guardare, Jamina,
getto di fica sazia,
e la faccia nel sudore,
sugo di sale di cosce,
dove c'è pelo c'è amore,
sultana delle troie,
dacci piano, Jamina,
non navigare di sponda,
prima che la voglia che sale e scende
non mi si disfi nell'onda
e l'ultimo respiro, Jamina,
regina madre delle sambe,
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe.
E l'ultimo respiro, Jamina,
regina madre delle sambe,
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe.
E l'ultimo respiro, Jamina,
regina madre delle sambe,
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Le Acciughe Fanno Il Pallone (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Le acciughe fanno il pallone,
ché sotto c'è l'alalunga:
se non butti la rete
non te ne lascia una
e alla riva sbarcherò,
alla riva verrà la gente,
questi pesci sorpresi
li venderò per niente.
Se sbarcherò alla foce
e alla foce non c'è nessuno,
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
amo per amo
c'è una stella che trema;
ogni tre lacrime
batte la campana.
Passan le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro,
passan sotto le reti
che asciugano sul muro
e in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente,
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola,
ogni tre notti
un sogno che mi consola.
Bottiglia legata stretta
come un'esca da trascinare,
sorso di vena dolce
che liberi dal male,
se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere,
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola,
ogni balcone
una bocca che m'innamora.
Ogni tre ami
c'è una stella marina,
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola,
ogni balcone
una bocca che m'innamora.
Le acciughe fanno il pallone,
ché sotto c'è l'alalunga:
se non butti la rete,
non te ne resta una,
non te ne lascia una,
non te ne lascia.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

La Domenica Delle Salme (Live 1991)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Mauro Pagani)
Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia d'orzata
dove galleggia Milano;
non fu difficile seguirlo,
il poeta della Baggìna (*):
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina;
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento,
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime,
lanciate verso il mare;
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est:
chi si convertiva nel Novanta
ne era dispensato nel Novantuno;
la scimmia del Quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutti il culo;
la Piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa,
masso per masso,
schiavo per schiavo,
comunista per comunista.
La Domenica delle Salme
non si udirono fucilate,
il gas esilarante
presidiava le strade;
la Domenica delle Salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del ''tua culpa''
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a 'Baffi di Sego' (**), che era il primo:
"si può fare domani sul far del mattino"
e furono inviati messi,
fanti, cavalli, cani ed un somaro
ad annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio,
il carbonaro.
Il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni:
"voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo".
A tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile,
perché avevamo un cannone nel cortile,
un cannone nel cortile...
La Domenica delle Salme
nessuno si fece male,
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale;
la Domenica delle Salme
si sentiva cantare
"quant'è bella giovinezza,
non vogliamo più invecchiare".
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe,
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta,
poi ci mandarono a cagare:
"voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio,
coi pianoforti a tracolla, vestiti da Pinocchio,
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti,
per l'Amazzonia e per la pecunia,
nei palastilisti,
e dai padri Maristi;
voi avevate voci potenti,
lingue allenate a battere il tamburo,
voi avevate voci potenti:
adatte per il vaffanculo".
La Domenica delle Salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia;
la Domenica delle Salme
fu una domenica come tante,
il giorno dopo c'erano i segni
di una pace terrificante.
Mentre il cuore d'Italia,
da Palermo ad Aosta,
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta.
(*) - "Baggìna": così viene anche chiamata la Casa di Riposo per anziani ''Pio Albergo Trivulzio" di Milano.
(**) - "Baffi di Sego": gendarme austriaco di una satira di Giuseppe Giusti.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Disamistade (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Che ci fanno queste anime
davanti alla chiesa,
questa gente divisa,
questa storia sospesa?
A misura di braccio,
a distanza di offesa,
che alla pace si pensa,
che la pace si sfiora;
due famiglie disarmate di sangue
si schierano a resa
e per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà.
Si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore,
il lamento di un cane abbattuto
da un'ombra di passo;
si soddisfa di brevi agonie
sulla strada di casa,
uno scoppio di sangue,
un'assenza apparecchiata per cena.
E a ogni sparo di caccia all'intorno
si domanda fortuna.
Che ci fanno queste figlie
a ricamare e a cucire,
queste macchie di lutto
rinunciate all'amore?
Tra di loro si nasconde
una speranza smarrita,
che il nemico la vuole,
che la vuol restituita.
E una fretta di mani sorprese
a toccare le mani,
che dev'esserci un modo di vivere
senza dolore,
una corsa degli occhi negli occhi
a scoprire che invece
è soltanto un riposo del vento,
un odiare a metà
e alla parte che manca
si dedica l'autorità.
Che la "disamistade" (*)
si oppone alla nostra sventura,
questa corsa del tempo
a sparigliare destini e fortuna.
Che ci fanno queste anime
davanti alla chiesa,
questa gente divisa,
questa storia sospesa?
(*) - "Disamistade": in lingua sarda letteralmente "disamicizia" e per estensione "faida".

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Fiume Sand Creek (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura,
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura,
fu un generale di vent'anni,
occhi turchini e giacca uguale;
fu un generale di vent'anni,
figlio d'un temporale.
C'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte,
chiusi gli occhi per tre volte,
mi ritrovai ancora lì;
chiesi a mio nonno "è solo un sogno?",
mio nonno disse "sì".
A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek.
Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso,
il lampo in un orecchio, nell'altro il Paradiso,
le lacrime più piccole,
le lacrime più grosse
quando l'albero della neve
fiorì di stelle rosse.
Ora i bambini giocano nel letto del Sand Creek.
Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo e tende capovolte,
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare,
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare.
La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek.
Si son presi i nostri cuori sotto una coperta scura,
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura,
fu un generale di vent'anni,
occhi turchini e giacca uguale;
fu un generale di vent'anni,
figlio d'un temporale.
Ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Sidùn (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Mauro Pagani)
U mæ ninìn, u mæ,
u mæ,
lerfe grasse au su
d'amë, d'amë,
tûmù duçe benignu
de teu muaè,
spremmûu 'nta maccaia
de staë, de staë;
e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete,
e i euggi di surdatti, chen arraggë
cu'a scciûmma a a bucca, cacciuéi de baë,
a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué,
e doppu u feru in gua, i feri d'ä prixún
e 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziún
perché de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce ni ærbu, ni spica, ni figgeü.
Ciao, mæ 'nin; l'eredítaë
l'è ascusa
'nte sta çittaë
ch'a brûxa, ch'a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a.

Traduzione dal genovese: "Sidone"
Il mio bambino, il mio,
il mio,
labbra grasse al sole
di miele, di miele,
tumore dolce benigno
di tua madre,
spremuto nell'afa umida
dell'estate, dell'estate;
e ora grumo di sangue orecchie
e denti da latte,
e gli occhi dei soldati, cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca, cacciatori di agnelli,
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico non ha spento loro la voglia,
e dopo il ferro in gola, i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al mare
non possa più crescere albero, né spiga, né figlio.
Ciao, bambino mio; l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia, che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Anime Salve (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati; cantata a due voci con Cristiano De André)
Mille anni al mondo, mille ancora:
che bell'inganno sei, anima mia,
e che bello il mio tempo, che bella compagnia.
Sono giorni di finestre adornate,
canti di stagione,
anime salve in terra e in mare.
Sono state giornate furibonde,
senza atti d'amore,
senza calma di vento,
solo passaggi e passaggi,
passaggi di tempo.
Ore infinite come costellazioni e onde,
spietate come gli occhi della memoria,
altra memoria e non basta ancora,
cose svanite, facce, e poi il futuro.
I futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri,
saranno cacce coi cani e coi cinghiali,
saranno rincorse, morsi e affanni per mille anni.
Mille anni al mondo, mille ancora:
che bell'inganno sei, anima mia,
e che grande il mio tempo, che bella compagnia.
Mi sono spiato illudermi e fallire,
abortire i figli come i sogni,
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve,
mi sono visto che ridevo,
mi sono visto di spalle che partivo.
Ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo.
Mille anni al mondo, mille ancora:
che bell'inganno sei, anima mia,
e che grande questo tempo, che solitudine,
che bella compagnia.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Don Raffae' (Live 1991)
(Testo: Fabrizio De André e Massimo Bubola; Musica: Fabrizio De André e Mauro Pagani)
Io mi chiamo Pasquale Cafiero
e son bbrigadiero del carcere, ohinè,
io mi chiamo Cafiero Pasquale
e sto a Poggio Reale dal cinquantatrè;
e al centesimo catenaccio
alla sera mi sento uno straccio,
per fortuna ch'al braccio speciale
c'è un uomo geniale che parla co' me.
Tutto il giorno con quattro infamoni,
briganti, papponi, cornuti e lacchè,
tutte l'ore co' 'sta fetenzìa
che sputa, minaccia e sa 'a piglia co' me,
ma alla fine m'assetto papale,
mi sbottono e mi leggo 'o giornale,
mi consiglio con Don Raffae',
mi spiega che penso e bevimm'o' cafè.
Ah, che bell'o' cafè,
pure in carcere 'o sanno fa',
co' 'a ricetta ch'a Ciccirinella,
compagno di cella,
ci ha dato mammà.
Prima pagina: venti notizie,
ventun ingiustizie e lo Stato che fa?
Si costerna, s'indigna, s'impegna,
poi getta la spugna con gran dignità;
mi scervello e m'asciugo la fronte,
per fortuna c'è chi mi risponde,
a quell'uomo sceltissimo e immenso
io chiedo consenso a Don Raffae'.
Un galantuomo che tiene sei figli,
ha chiesto una casa e ci danno consigli,
mentre 'o assessore, che Dio lo perdoni,
'ndrento a 'e roullotte ci alleva i visoni;
voi vi basta una mossa, una voce,
ch'a 'sto Cristo ci lèvan 'a croce,
con rispetto s'è fatto le tre:
volìte 'a spremuta o volìte 'o cafè?
Ah, che bell'o' cafè,
pure in carcere 'o sanno fa',
co' 'a ricetta ch'a Ciccirinella,
compagno di cella,
ci ha dato mammà.
Ah, che bell'o' cafè,
pure in carcere 'o sanno fa',
co' 'a ricetta di Ciccirinella,
compagno di cella,
precisa a mammà.
'Ccà ci sta l'inflazione, la svalutazione
e la borsa ce l'ha chi ce l'ha,
io non tengo compendio che chillo stipendio
e un ambo se sogno 'a papà:
aggiungete mia figlia Innocenza,
vuo' marito e non tiene pazienza,
non vi chiedo la grazia pe' mme,
vi faccio la barba o la fate da sè?
Voi tenete un cappotto cammello
ch'al maxi-processo eravate 'o cchiù bbello,
un vestito gessato marrone,
così cc'è sembrato alla televisione:
pe' 'ste nozze, vi prego Eccellenza,
m'ii prestasse pe' fare presenza,
io già tengo le scarpe e 'o gillè,
gradite 'o Campari o volìte 'o cafè?
Ah, che bell'o' cafè,
pure in carcere 'o sanno fa',
co' 'a ricetta ch'a Ciccirinella,
compagno di cella,
ci ha dato mammà.
Ah, che bell'o' cafè,
pure in carcere 'o sanno fa',
co' 'a ricetta di Ciccirinella,
compagno di cella,
precisa a mammà.
Qua non c'è più decoro, le carceri d'oro
ma chi l'ha mai viste chissà:
chiste so' fatiscenti e pe' chisto i fetienti
se tengono l'immunità;
Don Raffaè, voi politicamente,
io ve lo giuro sarebbe 'nu santo,
ma 'ca ddìnto voi state a pagà
e fori chiss'atre se stanno a spassà.
A proposito tengo 'nu frate
che da quindici anni sta disoccupato
chill'ha fatto cinquanta concorsi,
novanta domande e duecento ricorsi;
voi che date conforto e lavoro,
Eminenza vi bacio e v'imploro:
chille duorme co' mamma e co' me,
che crema d'Arabia ch'è chisto cafè!

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Ho Visto Nina Volare (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Mastica e sputa
da una parte il miele,
mastica e sputa
dall'altra la cera,
mastica e sputa
prima che venga neve.
Luce, luce lontana,
più bassa delle stelle:
sarà la stessa mano
che ti accende e ti spegne?
Ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena,
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena.
E se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese,
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare.
Mastica e sputa
da una parte il miele,
mastica e sputa
dall'altra la cera,
mastica e sputa
prima che faccia neve.
Stanotte è venuta l'ombra,
l'ombra che mi fa il verso,
le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso.
E se lo sa mio padre
mi metterò in cammino,
se mio padre lo sa
mi imbarcherò lontano.
Mastica e sputa
da una parte la cera,
mastica e sputa
dall'altra parte il miele,
mastica e sputa
prima che metta neve.
Ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena,
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena.
Luce, luce lontana,
che si accende e si spegne:
quale sarà la mano
che illumina le stelle?
Mastica e sputa
prima che faccia neve.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

'A Cùmba (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati; cantata a due voci con Cristiano De André)
Gh'aivu'na bella cúmba ch'â l'è xeûa fòea de cá,
giánca cum'â néie ch'â desléngue a cian d'â sâ.

Duv'à l'è? Duv'à l'è? Dúve, duv'â l'è?
Che l'hán vursciûa védde cegâ l'á a stú casâ,
spéita cúme l'áigua ch'â derua zû p'oú riá.

Nu ghe n'è, nu ghe, nu ghe n'è, nu ghe n'è.
Cáu oú mè zuenótto, ve pórta miga na smangiaxún,
che se cusci fise puriésci anávene 'n gattixún.

Nu ghe n'è, nu ghe n'è, nu ghe n'è, nu ghe, nu ghe n'è.
Végnu d'â câ du ráttu ch'oú magún oú sliga i pê.
Chí de cúmbe d'âtri nu n'è vegnûe, nu se n'è pôsé.
Végnu c'oú côeu maróttu de 'na pasciún che nu ghe n'è, nu ghe n'è.
Chí gh'è 'na cúmba giánca ch'â nu l'è â vostra, ch'â l'é a mê; nu ghe n'è.
Âtre nu ghe n'è, âtre nu ghe n'è, nu ghe n'è.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
â l'é xêuâ, â l'é xêuâ
au cián d'â s'â.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
de nôette â l'é xêuâ
áu cián d'oú pán.
Vuí nu vuriésci dámela sta cúmba da maiâ,
giánca cum'â néie ch'â deslengue 'nt oú riá.

Nu ghe n'è, nu ghe n'è.
Mié che sta cúmba bèlla, â stá de lûngu a barbacíu
che nu m'â pôsse védde à scricchî 'nté n'âtru níu.

Nu ghe n'è, nu ghe n'è, nu ghe n'è.
 tegnió à dindánase sutt'à 'n angióu de meigranâ,
cu'â cûa ch'oú l'ha d'â sèa â mán lingéa d'oú bambaxia.

Dúve, duv'â l'è? Dúve, duv'â l'è? Duv'â l'è? Duv'â l'è?
Zuenu ch'âei bén parlóu 'nte sta seián-a de frevà.
 tegnió à dindánase sutt'à 'n angióu de meigranâ.
Saêi che sta cúmba à mázu a xêuâ d'â mê 'nt â vostra câ.
Cu'â cûa ch'oú l'ha d'â sèa â mán lingéa d'oú bambaxia.
Âtre nu ghe n'è, nu ghe, nu ghe n'è, âtre nu ghe n'è.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
de nôette â l'é xêuâ
au cián d'â s'â.
 truvián, â truvián
â cúmba giánca,
de mázu â truvián
áu cián d'oú pán.
Duv'à l'è, duv'à l'è
ch'â ne s'ascúnde?
Se maiá, se maiá
áu cián d'oú pán.
Cum'â l'é, cum'â l'é?
L'é cum'â néie
ch'â vén zû deslenguâ
da oú riâ.
 l'é xêuâ, â l'é xêuâ
â cúmba giánca,
de mázu â truvián
áu cián d'â sâ.
Duv'à l'è, duv'à l'è
ch'â ne s'ascúnde?
Se maiá, se maiá
áu cián d'oú pán.
Cúmba, cumbétta,
béccu de sêa,
sérva à striggiún c'ou maiu 'n giandún,
Martín ou vá à pê
cun' l'âze deré,
foêgu de légne, ánime in çe.
Cúmba, cumbétta,
béccu de sêa,
sérva à striggiún c'ou maiu 'n giandún,
Martín ou vá à pê
cun' l'âze deré,
foêgu de légne, ánime in çe.

Pretendente: voce di Cristiano De André.
Padre: voce di Fabrizio De André.
Ultima parte: pretendente e padre insieme.
Traduzione dal genovese: "La Colomba"
Avevo una bella colomba che è volata fuori casa,
bianca come la neve che si scioglie a pian del sale.
Dov'è? Dov'è?
Che l'hanno vista piegare le ali verso questo casale,
veloce come l'acqua che precipita dal rio.
Non ce n'è, non ce n'è, non ce n'è.
Caro il mio giovanotto, non vi porta mica qualche prurito,
che se così fosse potreste andarvene in giro per amorazzi.
Non ce n'è, non ce n'è, non ce n'è.
Vengo dalla casa del topo che l'angoscia slega i piedi.
Qui di colombe d'altri non ne son venute, non se ne son posate.
Vengo con il cuore malato di una passione che non ha uguali.
Qui c'è una colomba bianca che non è la vostra, che è la mia; non ce n'è.
Non ce n'è altre, non ce n'è, non ce n'è altre, non ce n'è.
E' volata, è volata
la colomba bianca,
di notte è volata
a pian del sale.
La troveranno, la troveranno
la colomba bianca,
di maggio la troveranno
a pian del pane.
Voi non vorreste darmela questa colomba da maritare,
bianca come la neve che si scioglie nel rio.
Non ce n'è, non ce n'è.
Guardate che bella colomba, è abituata a cantare in allegria,
che io non la debba mai vedere stentare in un altro nido.
Non ce n'è, non ce n'è, non ce n'è.
La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni,
con la cura che ha della seta la mano leggera del bambagiaio.
Dov'è? Dov'è? Dov'è? Dov'è?
Giovane che avete ben parlato in questa sera di febbraio.
La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni.
Sappiate che questa colomba a maggio volerà dalla mia nella vostra casa.
Con la cura che ha della seta la mano leggera del bambagiaio.
Non ce n'è altre,non ce n'è, altre non ce n'è.
E' volata, è volata
la colomba bianca,
di notte è volata
a pian del sale.
La troveranno, la troveranno
la colomba bianca,
di maggio la troveranno
a pian del pane.
Dov'è, dov'è
che ci si nasconde?
Si sposerà,si sposerà
a pian del pane.
Com'è, com'è?
E' come la neve
che viene giù sciolta dal rio.
E' volata, è volata
la colomba bianca,
di maggio la troveranno
a pian del sale.
Dov'è, dov'è
che ci si nasconde?
Si sposerà, si sposerà
a pian del pane.
Colomba, colombina,
becco di seta,
serva a strofinare per terra col marito a zonzo,
Martino va a piedi
con l'asino dietro,
fuoco di legna, anime in cielo.
Colomba, colombina,
becco di seta,
serva a strofinare per terra col marito a zonzo,
Martino va a piedi
con l'asino dietro,
fuoco di legna, anime in cielo.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Bocca Di Rosa (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
La chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore sopra ogni cosa.
Appena scesa alla stazione
del paesino di Sant'Ilario,
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.
C'è chi l'amore lo fa per noia,
chi se lo sceglie per professione,
Bocca di Rosa nè l'uno nè l'altro,
lei lo faceva per passione.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
E fu così che da un giorno all'altro
Bocca di Rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
Ma le comari d'un paesino
non brillano certo in iniziativa,
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie,
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.
E, rivolgendosi alle cornute,
le apostrofò con parole argute:
"il furto d'amore sarà punito",
disse, "dall'ordine costituito".
E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
"quella schifosa ha già troppi clienti,
più di un consorzio alimentare".
Ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi, con i pennacchi,
ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi e con le armi.
Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri,
ma quella volta a prendere il treno
l'accompagnarono malvolentieri.
Alla stazione c'erano tutti,
dal commissario al sacrestano,
alla stazione c'erano tutti,
con gli occhi rossi e il cappello in mano,
a salutare chi per un poco,
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l'amore nel paese.
C'era un cartello giallo
con una scritta nera,
diceva "Addio Bocca di Rosa,
con te se ne parte la primavera".
Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale,
come una freccia dall'arco scocca,
vola veloce di bocca in bocca.
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva,
chi manda un bacio, chi getta un fiore,
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza,
fra un miserere e un'estrema unzione,
il bene effimero della bellezza,
la vuole accanto in processione.
E con la Vergine in prima fila
e Bocca di Rosa poco lontano,
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Smisurata Preghiera (Live 1998)
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Ivano Fossati)
Alta sui naufragi dai belvedere delle torri,
china e distante sugli elementi del disastro,
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà, di impunità.
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera,
la maggioranza sta, la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine,
di millenarie paure,
di inesauribili astuzie,
coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie,
la maggioranza sta,
come una malattia,
come una sfortuna,
come un'anestesia,
come un'abitudine.
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore,
di umanità, di verità.
Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità.
Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti
alle leggi del branco,
non dimenticare il loro volto,
ché dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti,
come una svista,
come un'anomalia,
come una distrazione,
come un dovere.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA