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25

Fabrizio De André - Album
1997: Mi Innamoravo Di Tutto

Antologia con un brano inedito

  Coda Di Lupo
La Canzone Di Marinella
Sally
La Cattiva Strada
Canto Del Servo Pastore
Bocca Di Rosa
Se Ti Tagliassero A Pezzetti
Jamin-a
La Canzone Dell'Amore Perduto
Il Bombarolo
Ave Maria

Coda Di Lupo
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Quand'ero piccolo m'innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli di buoi,
sui fatti miei sui fatti tuoi.
E al Dio degli inglesi non credere mai.
E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo,
cambiai il mio nome in "Coda Di Lupo",
cambiai il mio pony con un cavallo muto.
E al loro Dio perdente non credere mai.
E fu nella notte della lunga stella con la coda
che trovammo mio nonno crocefisso sulla chiesa,
crocefisso con forchette che si usano a cena,
era sporco e pulito di sangue e di crema.
E al loro Dio goloso non credere mai.
E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente,
possedevo una spranga, un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai.
E al Dio della Scala non credere mai.
Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte,
ci fecero l'esame dell'alito e delle urine,
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso:
"per la caccia al bisonte", disse, "il numero è chiuso".
E a un Dio a lieto fine non credere mai.
Ed ero già vecchio quando vicino a Roma, al Little-Big-Horn,
"Capelli Corti Generale" ci parlò all'università
dei fratelli "Tute Blu" che seppellirono le asce,
ma non fumammo con lui: non era venuto in pace.
E a un Dio "fatti il culo" non credere mai.
E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo,
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa,
che ho imparato a pescare con le bombe a mano,
che mi hanno scolpito in lacrime sull'Arco di Traiano,
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria.
E a un Dio, e a un Dio, e a un Dio, e a un Dio...
E a un Dio senza fiato non credere mai.

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La Canzone Di Marinella (A Due Voci Con Mina)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera,
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella.

Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore,
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta.

Bianco come la luna il suo cappello,
come l'amore rosso il suo mantello,
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue l'aquilone.

E c'era il sole e avevi gli occhi belli,
lui ti baciò le labbra ed i capelli;
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi,
lui pose le sue mani sui tuoi fianchi.

Furono baci e furono sorrisi,
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle.

Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta.

Questa è la tua canzone, Marinella,
che sei volata in cielo su una stella

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose;

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.
La canzone è cantata a due voci: Voce di Mina - Voce di Fabrizio - Insieme

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Sally
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Mia madre mi disse "non devi giocare
con gli zingari nel bosco".
Mia madre mi disse "non devi giocare
con gli zingari nel bosco".
Ma il bosco era scuro, l'erba già verde:
lì venne Sally con un tamburello.
Ma il bosco era scuro, l'erba già alta:
dite a mia madre che non tornerò.
Andai verso il mare senza barche per traversare,
spesi cento lire per un pesciolino d'oro.
Andai verso il mare senza barche per traversare,
spesi cento lire per un pesciolino cieco.
Gli montai sulla groppa e sparii in un baleno:
andate a dire a Sally che non tornerò.
Gli montai sulla groppa e sparii in un momento:
dite a mia madre che non tornerò.
Vicino alla città trovai "Pilàr del Mare":
con due gocce di eroina si addormentava il cuore.
Vicino alle roulottes trovai "Pilàr dei Meli":
bocca sporca di mirtilli, un coltello in mezzo ai seni.
Mi svegliai sulla quercia, l'assassino era fuggito:
dite al pesciolino che non tornerò.
Mi guardai nello stagno, l'assassino s'era già lavato:
dite a mia madre che non tornerò.
Seduto sotto un ponte si annusava "il re dei topi":
sulla srada le sue bambole bruciavano copertoni.
Sdraiato sotto il ponte si adorava "il re dei topi":
sulla strada le sue bambole adescavano i signori.
Mi parlò sulla bocca, mi donò un braccialetto:
dite alla quercia che non tornerò.
Mi baciò sulla bocca, mi propose il suo letto:
dite a mia madre che non tornerò.
Mia madre mi disse "non devi giocare
con gli zingari nel bosco".
Ma il bosco era scuro, l'erba già verde:
lì venne Sally con un tamburello.

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La Cattiva Strada
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Alla parata militare
sputò negli occhi a un innocente
e quando lui chiese perché,
lui gli rispose "questo è niente,
e adesso è ora che io vada"
e l'innocente lo seguì,
senza le armi lo seguì,
sulla sua cattiva strada.
Nei viali dietro la stazione
rubò l'incasso a una "regina"
e quando lei gli disse "come",
lui le rispose "forse è meglio, è come prima,
forse è ora che io vada"
e la "regina" lo seguì,
col suo dolore lo seguì,
sulla sua cattiva strada.
E in una notte senza luna
truccò le stelle ad un pilota,
quando l'aeroplano cadde
lui disse "è colpa di chi muore,
comunque è meglio che io vada",
ed il pilota lo seguì,
senza le stelle lo seguì,
sulla sua cattiva strada.
A un diciottenne alcolizzato
versò da bere ancora un poco
e mentre quello lo guardava
lui disse "amico, ci scommetto, stai per dirmi
'adesso è ora che io vada'",
l'alcolizzato lo capì,
non disse niente e lo seguì
sulla sua cattiva strada.
Ad un processo per amore
baciò le bocche dei giurati
e ai loro sguardi imbarazzati
rispose "adesso è più normale,
adesso è meglio, adesso è giusto, giusto,
è giusto che io vada"
ed i giurati lo seguirono,
a bocca aperta lo seguirono
sulla sua cattiva strada;
sulla sua cattiva strada.
E quando poi sparì del tutto,
a chi diceva "è stato un male",
a chi diceva "è stato un bene",
raccomandò "non vi conviene
venir con me dovunque vada,
ma c'è amore un po' per tutti
e tutti quanti hanno un amore
sulla cattiva strada;
sulla cattiva strada".

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Canto Del Servo Pastore
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Dove fiorisce il rosmarino c'è una fontana scura,
dove cammina il mio destino c'è un filo di paura,
qual è la direzione? Nessuno me lo imparò;
qual è il mio vero nome? Ancora non lo so.
Quando la luna perde la lana e il passero la strada,
quando ogni angelo è alla catena ed ogni cane abbaia,
prendi la tua tristezza in mano e soffiala nel fiume,
vesti di foglie il tuo dolore e coprilo di piume.
Sopra ogni cisto da qui al mare c'è un po' dei miei capelli,
sopra ogni sughera il disegno di tutti i miei coltelli,
l'amore delle case, l'amore bianco vestito,
io non l'ho mai saputo e non l'ho mai tradito.
Mio padre un falco, mia madre un pagliaio: stanno sulla collina;
i loro occhi senza fondo seguono la mia luna,
notte, notte, notte sola, sola come il mio fuoco,
piega la testa sul mio cuore e spegnilo poco a poco.

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Bocca Di Rosa
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
La chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore sopra ogni cosa.
Appena scesa alla stazione
del paesino di Sant'Ilario,
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.
C'è chi l'amore lo fa per noia,
chi se lo sceglie per professione,
Bocca di Rosa nè l'uno nè l'altro,
lei lo faceva per passione.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
E fu così che da un giorno all'altro
Bocca di Rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
Ma le comari d'un paesino
non brillano certo in iniziativa,
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie,
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.
E, rivolgendosi alle cornute,
le apostrofò con parole argute:
"il furto d'amore sarà punito",
disse, "dall'ordine costituito".
E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
"quella schifosa ha già troppi clienti,
più di un consorzio alimentare".
Ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi, con i pennacchi,
ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi e con le armi.
Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri,
ma quella volta a prendere il treno
l'accompagnarono malvolentieri.
Alla stazione c'erano tutti,
dal commissario al sacrestano,
alla stazione c'erano tutti,
con gli occhi rossi e il cappello in mano,
a salutare chi per un poco,
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l'amore nel paese.
C'era un cartello giallo
con una scritta nera,
diceva "Addio Bocca di Rosa,
con te se ne parte la primavera".
Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale,
come una freccia dall'arco scocca,
vola veloce di bocca in bocca.
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva,
chi manda un bacio, chi getta un fiore,
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza,
fra un miserere e un'estrema unzione,
il bene effimero della bellezza,
la vuole accanto in processione.
E con la Vergine in prima fila
e Bocca di Rosa poco lontano,
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano.

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Se Ti Tagliassero A Pezzetti
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Se ti tagliassero a pezzetti,
il vento li raccoglierebbe,
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio,
di Dio il sorriso.
Ti ho trovata lungo il fiume
che suonavi una foglia di fiore,
che cantavi parole leggere, parole d'amore;
ho assaggiato le tue labbra di miele rosso rosso,
ti ho detto "dammi quello che vuoi, io quel che posso".
Rosa gialla, rosa di rame,
mai ballato così a lungo
lungo il filo della notte, sulle pietre del giorno;
io suonatore di chitarra, io suonatore di mandolino,
alla fine siamo caduti sopra il fieno.
Persa per molto, persa per poco,
presa sul serio, presa per gioco,
non c'è stato molto da dire o da pensare,
la fortuna sorrideva come uno stagno a primavera,
spettinata da tutti i venti della sera.
E adesso aspetterò domani per avere nostalgia,
signora Libertà, signorina Fantasia,
così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza,
con la tua nuvola di dubbi e di bellezza.
T'ho incrociata alla stazione
che inseguivi il tuo profumo,
presa in trappola da un tailleur grigio fumo,
i giornali in una mano e nell'altra il tuo destino,
camminavi fianco a fianco al tuo assassino.
Ma se ti tagliassero a pezzetti,
il vento li raccoglierebbe,
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna, la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio,
di Dio il sorriso.

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Jamin-a
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Mauro Pagani)
Lengua 'nfeuga, Jamin-a,
lua de pelle scûa,
cu'a bucca spalancà,
morsciu de carne dûa,
stella neigra ch'a lûxe,
me veuggiu demuâ
'nte l'ûmidu duçe
de l'amë dû teu arveà.
Ma seu, Jamin-a,
ti me perdunié
se nu riûsciò a ésse porcu
cumme i teu pensë;
destacchete, Jamin-a,
lerfe de ûga spin-a,
fatt'ammiâ, Jamin-a,
roggiu de mussa pin-a
e u muru 'ntu sûù
sûgu de sä de cheusce
duve gh'è pei gh'è amù sultan-a de e bagascie,
dagghe cianìn, Jamin-a,
nu navegâ de spunda,
primma ch'à cuæ' ch'à munta e a chin-a
nu me se desfe 'nte l'unda,
e l'ûrtimu respiu, Jamin-a,
regin-a muaé de e sambe,
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe.
E l'ûrtimu respiu, Jamin-a,
regin-a muaé de e sambe,
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe.
E l'ûrtimu respiu, Jamin-a,
regin-a muaé de e sambe,
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe.

Traduzione dal genovese: "Jamina"
Lingua infuocata, Jamina,
lupa di pelle scura,
con la bocca spalancata,
morso di carne soda,
stella nera che brilla,
mi voglio divertire
nell'umido dolce
del miele del tuo alveare.
Sorella mia, Jamina,
mi perdonerai
se non riuscirò a essere porco
come i tuoi pensieri;
staccati, Jamina,
labbra di uva spina,
fatti guardare, Jamina,
getto di fica sazia,
e la faccia nel sudore,
sugo di sale di cosce,
dove c'è pelo c'è amore,
sultana delle troie,
dacci piano, Jamina,
non navigare di sponda,
prima che la voglia che sale e scende
non mi si disfi nell'onda
e l'ultimo respiro, Jamina,
regina madre delle sambe,
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe.
E l'ultimo respiro, Jamina,
regina madre delle sambe,
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe.
E l'ultimo respiro, Jamina,
regina madre delle sambe,
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe.

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La Canzone Dell'Amore Perduto (Live 1991)
(Testo: Fabrizio De André; Musica: Sulla melodia del "Concerto in Re Maggiore" di Georg Philipp Telemann)
Ricordi, sbocciavan le viole
con le nostre parole
"non ci lasceremo mai, mai e poi mai";
vorrei dirti ora le stesse cose,
ma, come fan presto, amore, ad appassire le rose,
così per noi
l'amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza.
E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
d'un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai,
ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d'oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d'oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

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Il Bombarolo
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro,
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente,
ancora poche ore,
poi gli darò la voce:
il detonatore.
Il mio Pinocchio fragile,
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale,
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io son d'un'altra razza:
son bombarolo.
Nel scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone,
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l'amnistia.
Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso:
son bombarolo.
Intellettuali d'oggi,
idioti di domani,
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione,
oggi farò da me
senza lezione.
Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti,
ma finchè li cerco io,
i latitanti sono loro,
ho scelto un'altra scuola:
son bombarolo.
Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci
dai tuoi aereoplani,
io vengo a restituirti
un po' del tuo terrore,
del tuo disordine,
del tuo rumore.
Così pensava forte
un trentenne disperato,
se non del tutto giusto,
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo,
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d'un bombarolo.
C'è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento,
aspettando l'esplosione
che provasse il suo talento,
c'è chi lo vide piangere
un torrente di vocali,
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.
Ma ciò che lo ferì
profondamente nell'orgoglio
fu l'immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio,
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.

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Ave Maria (Canto Popolare Sardo)
(Adattamento di Albino Puddu; Rielaborazione di Fabrizio De André)
Deus, Deus ti salvet Maria,
chi, chi ses de grazia plena,
de grazia ses sa ivena
ei sa currente.
Pregade, pregade lu a fizzu ostru
chi, chi tottu sos errores
a nois, sos peccadores,
a nos perdone.
Meda, meda grazia a nos done
in vida e in sa morte
e in sa diciosa sorte
in Paradisu.

Traduzione dal sardo: "Ave Maria"
Dio, Dio ti salvi Maria,
che, che di grazia sei piena,
di grazia sei la vena
e l'energia.
Pregate, pregate a vostro figlio
che, che tutti gli errori
a noi, i peccatori,
a noi perdoni.
Molta, molta grazia ci doni
nella vita e nella morte
e nella beata sorte
in Paradiso.

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