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25

Fabrizio De André - Album
1991: Il Viaggio

Antologia del periodo Karim

  La Canzone Di Marinella
La Ballata Dell'Amore Cieco
La Guerra Di Piero
Valzer Per Un Amore
La Città Vecchia
Il Fannullone
La Canzone Dell'Amore Perduto
Fila La Lana
E Fu La Notte
Amore Che Vieni, Amore Che Vai
La Ballata Dell'Eroe
Geordie
Il Testamento
Nuvole Barocche
La Ballata Del Miche'
Per I Tuoi Larghi Occhi
Delitto Di Paese
Carlo Martello

La Canzone Di Marinella
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera,
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella.
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno d'un amore,
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta.
Bianco come la luna il suo cappello,
come l'amore rosso il suo mantello,
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue l'aquilone.
E c'era il sole e avevi gli occhi belli,
lui ti baciò le labbra ed i capelli;
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi,
lui pose le sue mani sui tuoi fianchi.
Furono baci e furono sorrisi,
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle.
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta.
Questa è la tua canzone, Marinella,
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose;
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.

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La Ballata Dell'Amore Cieco (O Della Vanità)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Un uomo onesto, un uomo probo,
tralalalalla tralallalero
s'innamorò perdutamente
d'una che non lo amava niente.
Gli disse "portami domani",
tralalalalla tralallalero
gli disse "portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani".
Lui dalla madre andò e l'uccise,
tralalalalla tralallalero
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.
Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallalero
non le bastava quell'orrore,
voleva un'altra prova del suo cieco amore.
Gli disse ancor "se mi vuoi bene",
tralalalalla tralallalero
gli disse ancor "se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene".
Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallalero
e come il sangue ne sgorgò,
correndo come un pazzo da lei tornò.
Gli disse lei, ridendo forte,
tralalalalla tralallalero
gli disse lei, ridendo forte,
"l'ultima tua prova sarà la morte".
E mentre il sangue lento usciva
e ormai cambiava il suo colore,
la vanità fredda gioiva,
un uomo s'era ucciso per il suo amore.
Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallalero
ma lei fu presa da sgomento,
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato,
quando a lei nulla era restato,
non il suo amore, non il suo bene,
ma solo il sangue secco delle sue vene.

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La Guerra Di Piero
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.
"Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati,
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente".
Così dicevi ed era d'inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati, Piero, fermati adesso,
lascia che il vento ti passi un po' addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava,
con le stagioni a passo di "giava"
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
E, mentre marciavi con l'anima in spalle,
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli, Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra a coprire il suo sangue.
"E se gli sparo in fronte o nel cuore,
soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore".
E mentre gli usi questa premura,
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l'artiglieria,
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra, senza un lamento,
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono per ogni peccato.
Cadesti a terra, senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.
Ninetta mia, crepare di maggio,
ci vuole tanto troppo coraggio,
Ninetta bella, dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno.
E, mentre il grano ti stava a sentire,
dentro le mani stringevi il fucile,
dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.

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Valzer Per Un Amore (Valzer Campestre)
(Versione di Fabrizio De André; Testo e Musica originali: Gino Marinuzzi, "Valzer Campestre")
Quando carica d'anni e di castità,
tra i ricordi e le illusioni
del bel tempo che non ritornerà,
troverai le mie canzoni,
nel sentirle ti meraviglierai
che qualcuno abbia lodato
le bellezze che allor più non avrai
e che avesti nel tempo passato.
Ma non ti servirà il ricordo,
non ti servirà
che per piangere il tuo rifiuto
del mio amor che non tornerà.
Ma non ti servirà più a niente,
non ti servirà
che per piangere sui tuoi occhi
che nessuno più canterà.
Ma non ti servirà più a niente,
non ti servirà
che per piangere sui tuoi occhi
che nessuno più canterà.
Vola il tempo, lo sai che vola e va,
forse non ce ne accorgiamo,
ma più ancora del tempo che non ha età,
siamo noi che ce ne andiamo;
e per questo ti dico "amore, amor,
io t'attenderò ogni sera,
ma tu vieni, non aspettare ancor,
vieni adesso finchè è primavera".

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La Città Vecchia
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi,
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi,
una bimba canta la canzone antica della donnaccia,
"quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui fra le mie braccia".
E se alla sua età le difetterà la competenza,
presto affinerà le capacità con l'esperienza,
dove sono andati i tempi di una volta, per Giunone,
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione.
Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino,
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino,
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledir le donne, il tempo ed il governo.
Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere;
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte,
porteran sul viso l'ombra d'un sorriso tra le braccia della morte.
Vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone?
Forse quella che sola ti può dare una lezione,
quella che di giorno chiami con disprezzo "pubblica moglie",
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.
Tu la cercherai, tu la invocherai più d'una notte,
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai, delapiderai mezza pensione,
diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione".
Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli,
in quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori,
lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano,
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai e giudicherai da buon borghese,
li condannerai a cinquemila anni più le spese;
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli,
vittime di questo mondo.

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Il Fannullone
(Testo: Fabrizio De André e Paolo Villaggio; Musica: Fabrizio De André)
Senza pretesa di voler strafare,
io dormo al giorno quattordici ore,
anche per questo nel mio rione
godo la fama di fannullone;
ma non si sdegni la brava gente,
se nella vita non riesco a far niente.
Tu vaghi per le strade quasi tutta la notte,
sognando mille favole di gloria e di vendette,
racconti le tue storie a pochi uomini ormai stanchi
che ridono fissandoti con vuoti sguardi bianchi;
tu reciti una parte fastidiosa alla gente,
facendo della vita una commedia divertente.
Ho anche provato a lavorare,
senza risparmio mi diedi da fare,
ma il sol risultato dell'esperimento
fu della fame un tragico aumento;
non si risenta la gente per bene
se non mi adatto a portar le catene.
Ti diedero lavoro in un grande ristorante,
a lavare gli avanzi della gente elegante,
ma tu dicevi "il cielo è la mia unica fortuna
e l'acqua dei piatti non rispecchia la luna";
tornasti a cantar storie lungo strade di notte,
sfidando il buon umore delle tue scarpe rotte.
Non sono poi quel cagnaccio malvagio,
senza morale, straccione e randagio,
che si accontenta di un osso bucato
con affettuoso disprezzo gettato;
al fannullone sa battere il cuore,
il cane randagio ha trovato il suo amore.
Pensasti al matrimonio come al giro di una danza,
amasti la tua donna come un giorno di vacanza,
hai preso la tua casa per rifugio alla tua fiacca,
per un attaccapanni a cui appendere la giacca;
e la tua dolce sposa consolò la sua tristezza,
cercando tra la gente chi le offrisse tenerezza.
È andata via senza fare rumore,
forse cantando una storia d'amore,
la raccontava ad un mondo ormai stanco
che camminava distratto al suo fianco;
lei tornerà in una notte d'estate,
l'applaudiranno le stelle incantate,
rischiareranno dall'alto i lampioni,
la strana danza di due fannulloni,
la luna avrà dell'argento il colore
sopra la schiena dei gatti in amore.

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La Canzone Dell'Amore Perduto
(Testo: Fabrizio De André; Musica: Sulla melodia del "Concerto in Re Maggiore" di Georg Philipp Telemann)
Ricordi, sbocciavan le viole
con le nostre parole
"non ci lasceremo mai, mai e poi mai";
vorrei dirti ora le stesse cose,
ma, come fan presto, amore, ad appassire le rose,
così per noi
l'amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza.
E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
d'un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai,
ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d'oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d'oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

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Fila La Lana
(Canzone popolare francese del XV secolo; Rielaborazione di Fabrizio De André)
Nella guerra di Valois
il Signor di Vly è morto,
se sia stato un prode eroe
non si sa, non è ancor certo.
Ma la dama abbandonata,
lamentando la sua morte,
per mill'anni e forse ancora
piangerà la triste sorte.
Fila la lana, fila i tuoi giorni,
illuditi ancora che lui ritorni;
libro di dolci sogni d'amore,
apri le pagine al suo dolore.
Son tornati a cento e a mille
i guerrieri di Valois,
son tornati alle famiglie,
ai palazzi, alle città.
Ma la dama abbandonata
non ritroverà il suo amore
e il gran ceppo nel camino
non varrà a scaldarle il cuore.
Fila la lana, fila i tuoi giorni,
illuditi ancora che lui ritorni;
libro di dolci sogni d'amore,
apri le pagine al suo dolore.
Cavalieri che in battaglia
ignorate la paura,
stretta sia la vostra maglia,
ben temprata l'armatura.
Al nemico che vi assalta
siate presti a dar risposta
perché dietro a quelle mura
vi s'attende senza sosta.
Fila la lana, fila i tuoi giorni,
illuditi ancora che lui ritorni;
libro di dolci sogni d'amore,
chiudi le pagine sul suo dolore.

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E Fu La Notte
(Testo: Fabrizio De André, Stanisci e Franchi; Musica: Fabrizio De André)
E fu la notte,
la notte per noi;
notte profonda
sul nostro amore.
E fu la fine
di tutto per noi,
resta il passato
e niente di più.
Ma, se ti dico:
"non t'amo più",
sono sicuro
di non dire il vero.
E fu la notte,
la notte per noi;
buio e silenzio
son scesi su noi.
E fu la notte,
la notte per noi;
buio e silenzio
son scesi su noi.

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Amore Che Vieni, Amore Che Vai
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Quei giorni perduti a rincorrere il vento
a chiederci un bacio e volerne altri cento
un giorno qualunque li ricorderai,
amore che fuggi da me tornerai;
un giorno qualunque ti ricorderai,
amore che fuggi da me tornerai.
E tu che con gli occhi d'un altro colore
mi dici le stesse parole d'amore,
fra un mese, fra un anno scordate le avrai,
amore che vieni da me fuggirai;
fra un mese fra un anno scordate le avrai,
amore che vieni da me fuggirai.
Venuto dal sole o da spiagge gelate,
perduto in novembre o col vento d'estate,
io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai,
amore che vieni, amore che vai;
io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai,
amore che vieni, amore che vai.

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La Ballata Dell'Eroe
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Era partito per fare la guerra,
per dare il suo aiuto alla sua terra;
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vendere cara la pelle
e quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità.
Ora che è morto la patria si gloria
d'un altro eroe alla memoria.
Ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d'un soldato vivo; d'un eroe morto che ne farà
se accanto nel letto le è rimasta la gloria
d'una medaglia alla memoria?

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Geordie
(Canzone popolare celtica; Rielaborazione di Fabrizio De André. Cantata con Maureen Rix)
Mentre attraversavo London Bridge,
un giorno senza sole,
vidi una donna pianger d'amore,
piangeva per il suo Geordie.
Impiccheranno Geordie con una corda d'oro,
è un privilegio raro;
rubò sei cervi nel parco del re,
vendendoli per denaro.
Sellate il suo cavallo dalla bianca criniera,
sellàtele il suo pony,
cavalcherà fino a Londra stasera,
ad implorare per Geordie.
Geordie non rubò mai neppure per me
un frutto o un fiore raro;
rubò sei cervi nel parco del re,
vendendoli per denaro.
Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso,
non ha vent'anni ancora;
cadrà l'inverno anche sopra il suo viso,
potrete impiccarlo allora.
Nè il cuore degli inglesi, nè lo scettro del re
Geordie potran salvare,
anche se piangeranno con te,
la legge non può cambiare.
Così lo impiccheranno con una corda d'oro,
è un privilegio raro;
rubò sei cervi nel parco del re,
vendendoli per denaro.

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Il Testamento
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Quando la morte mi chiamerà,
forse qualcuno protesterà,
dopo aver letto nel testamento
quel che gli lascio in eredità;
non maleditemi non serve a niente
tanto all'inferno ci sarò già.
Ai protettori delle battone
lascio un impiego da ragioniere,
perché provetti nel loro mestiere
rendano edotta la popolazione;
ad ogni fine di settimana,
sopra la rendita di una puttana,
ad ogni fine di settimana,
sopra la rendita di una puttana.
Voglio lasciare a Bianca Maria,
che se ne frega della decenza,
un attestato di benemerenza
che al matrimonio le spiani la via,
con tanti auguri per chi c'è caduto
di conservarsi felice e cornuto,
con tanti auguri per chi c'è caduto
di conservarsi felice e cornuto.
Sorella morte, datemi il tempo
di terminare il mio testamento,
datemi il tempo di salutare,
di riverire, di ringraziare
tutti gli artefici del girotondo
intorno al letto di un moribondo.
Signor becchino, mi ascolti un poco,
il suo lavoro a tutti non piace,
non lo consideran tanto un bel gioco
coprir di terra chi riposa in pace
ed è per questo che io mi onoro
nel consegnarle la vanga d'oro,
ed è per questo che io mi onoro
nel consegnarle la vanga d'oro.
Per quella candida vecchia contessa,
che non si muove più dal mio letto,
per estirparmi l'insana promessa
di riservarle i miei numeri al lotto;
non vedo l'ora di andar fra i dannati
per riferirglieli tutti sbagliati,
non vedo l'ora di andar fra i dannati
per riferirglieli tutti sbagliati.
Quando la morte mi chiederà
di restituirle la libertà,
forse una lacrima, forse una sola
sulla mia tomba si spenderà,
forse un sorriso, forse uno solo
dal mio ricordo germoglierà.
Se dalla carne mia già corrosa,
dove il mio cuore ha battuto il tempo,
dovesse nascere un giorno una rosa,
la do alla donna che mi offrì il suo pianto;
per ogni palpito del suo cuore,
le rendo un petalo rosso d'amore,
per ogni palpito del suo cuore,
le rendo un petalo rosso d'amore.
A te che fosti la più contesa,
la cortigiana che non si dà a tutti
ed ora all'angolo di quella chiesa
offri le immagini ai belli ed ai brutti,
lascio le note di questa canzone,
canto il dolore della tua illusione,
a te che sei, per tirare avanti,
costretta a vendere Cristo e i santi.
Quando la morte mi chiamerà,
nessuno al mondo si accorgerà
che un uomo è morto senza parlare,
senza sapere la verità,
che un uomo è morto senza pregare,
fuggendo il peso della pietà.
Cari fratelli dell'altra sponda,
cantammo in coro giù sulla terra,
amammo in cento l'identica donna,
partimmo in mille per la stessa guerra;
questo ricordo non vi consoli,
quando si muore, si muore si muore soli,
questo ricordo non vi consoli,
quando si muore, si muore soli.

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Nuvole Barocche
(Testo: Fabrizio De André, Stanisci e Lario; Musica: Fabrizio De André)
Poi un'altra giornata di luce,
poi un altro di questi tramonti
e portali, colonne, fontane.
Tu mi hai insegnato a vivere,
insegnami a partir.
Ma il cielo è tutto rosso
di nuvole barocche,
sul fiume che si sciacqua
sotto l'ultimo sole.
E mentre, soffio a soffio,
le spinge lo scirocco,
sussurra un altro invito
che dice di restare.
Poi carezze, lusinghe, abbandoni,
poi quegli occhi di verde dolcezza,
mille e una di queste promesse.
Tu mi hai insegnato il sogno,
io voglio la realtà.
E mentre, soffio a soffio,
le spinge lo scirocco,
sussurra un altro invito
che dice devi amare;
che dice devi amare.

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La Ballata Del Miche'
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Quando hanno aperto la cella
era già tardi perché
con una corda sul collo
freddo pendeva Michè.
Tutte le volte che un gallo
sento cantar penserò
a quella notte in prigione
quando Michè s'impiccò.
Stanotte Michè
s'è impiccato ad un chiodo perché
non voleva restare vent'anni in prigione
lontano da te.
Nel buio Michè
se n'è andato sapendo che a te
non poteva mai dire che aveva ammazzato
perché amava te.
Io so che Michè
ha voluto morire perché
ti restasse il ricordo del bene profondo
che aveva per te.
Vent'anni gli avevano dato,
la corte decise così
perché un giorno aveva ammazzato
chi voleva rubargli Marì.
Lo avevan perciò condannato,
vent'anni in prigione a marcir,
però adesso che lui s'è impiccato
la porta gli devono aprir.
Se pure Michè
non ti ha scritto spiegando perché
se n'è andato dal mondo, tu sai che l'ha fatto
soltanto per te.
Domani alle tre
nella fossa comune cadrà
senza il prete e la messa perché di un suicida
non hanno pietà.
Domani alle tre
nella terra bagnata sarà
e qualcuno una croce col nome e la data
su lui pianterà;
e qualcuno una croce col nome e la data
su lui pianterà.

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Per I Tuoi Larghi Occhi
(Testo: Fabrizio De André e Monti; Musica: Fabrizio De André)
Per i tuoi larghi occhi,
per i tuoi larghi occhi chiari
che non piangono mai,
che non piangono mai.
E perché non mi hai dato
che un addio tanto breve,
perché dietro a quegli occhi
batte un cuore di neve.
Io ti dico che mai
il ricordo che in me lascerai
sarà stretto al mio cuore
da un motivo d'amore.
Non pensarlo perché
tutto quel che ricordo di te,
di quegli attimi amari,
sono i tuoi occhi chiari.
I tuoi larghi occhi
che restavan lontani
anche quando io sognavo,
anche mentre ti amavo.
E, se tu tornerai,
t'amero come sempre ti amai,
come un bel sogno inutile
che si scorda al mattino.
Ma i tuoi larghi occhi,
i tuoi larghi occhi chiari,
anche se non verrai,
non li scorderò mai.

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Delitto Di Paese
(Testo italiano: Fabrizio De André; Testo e Musica originali: Georges Brassens, "L'Assassinat")
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
abbiamo anche noi in paese;
qualche assassinio senza pretese
abbiamo anche noi qui in paese.
Aveva il capo tutto bianco,
ma il cuore non ancor stanco:
gli ritornò a battere in fretta
per una giovinetta;
gli ritornò a battere in fretta
per una giovinetta.
Ma la sua voglia troppo viva
subito gli esauriva,
in un sol bacio e una carezza
l'ultima giovinezza;
in un sol bacio e una carezza
l'ultima giovinezza.
Quando la mano lei gli tesem
triste lui le rispose,
d'essere povero e in bolletta:
lei si rivestì in fretta;
d'essere povero e in bolletta:
lei si rivestì in fretta.
E andò a cercare il suo compagno,
partecipe del guadagno,
e ritornò col protettore
dal vecchio truffatore;
e ritornò col protettore
dal vecchio truffatore.
Mentre lui fermo lo teneva,
sei volte lo accoltellava:
dicon che quando lui spirò,
la lingua lei gli mostrò;
dicon che quando lui spirò,
la lingua lei gli mostrò.
Misero tutto sotto sopra,
senza trovare un soldo,
ma solo un mucchio di cambiali
e di atti giudiziari;
ma solo un mucchio di cambiali
e di atti giudiziari.
Allora presi dallo sconforto
e dal rimpianto del morto,
s'inginocchiaron sul pover uomo,
chiedendogli perdono;
s'inginocchiaron sul pover uomo,
chiedendogli perdono.
Quando i gendarmi sono entrati,
piangenti li han trovati:
fu qualche lacrima sul viso
a dargli il Paradiso;
fu qualche lacrima sul viso
a dargli il Paradiso.
E quando furono impiccati,
volarono fra i beati:
qualche beghino di questo fatto
fu poco soddisfatto;
qualche beghino di questo fatto
fu poco soddisfatto.
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
abbiamo anche noi in paese;
qualche assassinio senza pretese
abbiamo anche noi qui in paese.

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Carlo Martello (Ritorna Dalla Battaglia Di Poitiers)
(Testo: Fabrizio De André e Paolo Villaggio; Musica: Fabrizio De André)
Re Carlo tornava dalla guerra,
lo accoglie la sua terra cingendolo d'allor;
al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura del sire vincitor.
Il sangue del Principe e del Moro
arrossano il cimiero d'identico color,
ma più che del corpo le ferite,
da Carlo son sentite le bramosie d'amor.
"Se ansia di gloria, sete d'onore
spegne la guerra al vincitore,
non ti concede un momento per fare all'amore;
chi poi impone alla sposa soave
di castità la cintura, ahimè grave,
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave".
Così si lamenta il Re cristiano,
s'inchina intorno il grano, gli son corona i fior,
lo specchio di chiara fontanella
riflette fiero in sella dei Mori il vincitor.
Quand'ecco nell'acqua si compone,
mirabile visione, il simbolo d'amor;
nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde, ignudo in pieno sol.
"Mai non fu vista cosa più bella,
mai io non colsi siffatta pulzella",
disse Re Carlo scendendo veloce di sella.
"Deh, cavaliere, non v'accostate,
già d'altri è gaudio quel che cercate,
ad altra più facile fonte la sete calmate".
Sorpreso da un dire sì deciso,
sentendosi deriso, Re Carlo s'arrestò,
ma più dell'onor potè il digiuno,
fremente, l'elmo bruno, il sire si levò.
Codesta era l'arma sua segreta,
da Carlo spesso usata in gran difficoltà;
alla donna apparve un gran nasone,
un volto da caprone, ma era Sua Maestà.
"Se voi non foste il mio sovrano",
Carlo si sfila il pesante spadone,
"non celerei il disìo di fuggirvi lontano;
ma poiché siete il mio signore",
Carlo si toglie l'intero gabbione,
"debbo concedermi spoglia ad ogni pudore".
Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente d'onor si ricoprì
e giunto alla fin della tenzone,
incerto sull'arcione, tentò di risalir.
Veloce lo arpiona la pulzella,
repente, una parcella presenta al suo signor,
"Deh, proprio perché voi siete il Sire,
fan 'zinque' mila lire, è un prezzo di favor".
"E' mai possibile, o porco di un cane,
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane?
Anche sul prezzo c'è poi da ridire,
ben mi ricordo che pria di partire
v'eran tariffe inferiori alle tremila lire".
Ciò detto, agì da gran cialtrone,
con balzo da leone in sella si lanciò,
frustando il cavallo come un ciuco,
fra i glicini e il sambuco il Re si dileguò.
Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra cingendolo d'allor;
al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura del sire vincitor.

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