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25

Fabrizio De André - Album
1986: Fabrizio De André (Antologia Blu)

Antologia

  La Canzone Di Marinella
Andrea
La Guerra Di Piero
Carlo Martello
Bocca Di Rosa
Il Pescatore
Creuza De Mä
Fiume Sand Creek
Il Testamento Di Tito
Via Del Campo
Quello Che Non Ho

La Canzone Di Marinella
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera,
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella.
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno d'un amore,
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta.
Bianco come la luna il suo cappello,
come l'amore rosso il suo mantello,
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue l'aquilone.
E c'era il sole e avevi gli occhi belli,
lui ti baciò le labbra ed i capelli;
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi,
lui pose le sue mani sui tuoi fianchi.
Furono baci e furono sorrisi,
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle.
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta.
Questa è la tua canzone, Marinella,
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose;
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.

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Andrea
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Andrea s'è perso, s'è perso e non sa tornare;
Andrea s'è perso, s'è perso e non sa tornare.
Andrea aveva un amore: "Riccioli Neri";
Andrea aveva un dolore: "Riccioli Neri".
C'era scritto sul foglio che era morto, sulla bandiera;
c'era scritto e la firma era d'oro, era firma di re.
Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia;
ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.
Occhi di bosco, contadino del Regno, profilo francese;
occhi di bosco, soldato del Regno, profilo francese.
E Andrea l'ha perso, ha perso l'amore: la perla più rara;
e Andrea ha in bocca, ha in bocca un dolore: la perla più scura.
Andrea coglieva, raccoglieva violette ai bordi del pozzo;
Andrea gettava "Riccioli Neri" nel cerchio del pozzo.
Il secchio gli disse, gli disse: "Signore, il pozzo è profondo;
più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto".
Lui disse "Mi basta, mi basta che sia più profondo di me";
lui disse "Mi basta, mi basta che sia più profondo di me".

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La Guerra Di Piero (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.
"Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati,
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente".
Così dicevi ed era d'inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati, Piero, fermati adesso,
lascia che il vento ti passi un po' addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava,
con le stagioni a passo di "giava"
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
E, mentre marciavi con l'anima in spalle,
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli, Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra a coprire il suo sangue.
"E se gli sparo in fronte o nel cuore,
soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore".
E mentre gli usi questa premura,
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l'artiglieria,
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra, senza un lamento,
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono per ogni peccato.
Cadesti a terra, senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.
Ninetta mia, crepare di maggio,
ci vuole tanto troppo coraggio,
Ninetta bella, dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno.
E, mentre il grano ti stava a sentire,
dentro le mani stringevi il fucile,
dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano,
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.

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Carlo Martello (Ritorna Dalla Battaglia Di Poitiers)
(Testo: Fabrizio De André e Paolo Villaggio; Musica: Fabrizio De André)
Re Carlo tornava dalla guerra,
lo accoglie la sua terra cingendolo d'allor;
al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura del sire vincitor.
Il sangue del Principe e del Moro
arrossano il cimiero d'identico color,
ma più che del corpo le ferite,
da Carlo son sentite le bramosie d'amor.
"Se ansia di gloria, sete d'onore
spegne la guerra al vincitore,
non ti concede un momento per fare all'amore;
chi poi impone alla sposa soave
di castità la cintura, ahimè grave,
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave".
Così si lamenta il Re cristiano,
s'inchina intorno il grano, gli son corona i fior,
lo specchio di chiara fontanella
riflette fiero in sella dei Mori il vincitor.
Quand'ecco nell'acqua si compone,
mirabile visione, il simbolo d'amor;
nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde, ignudo in pieno sol.
"Mai non fu vista cosa più bella,
mai io non colsi siffatta pulzella",
disse Re Carlo scendendo veloce di sella.
"Deh, cavaliere, non v'accostate,
già d'altri è gaudio quel che cercate,
ad altra più facile fonte la sete calmate".
Sorpreso da un dire sì deciso,
sentendosi deriso, Re Carlo s'arrestò,
ma più dell'onor potè il digiuno,
fremente, l'elmo bruno, il sire si levò.
Codesta era l'arma sua segreta,
da Carlo spesso usata in gran difficoltà;
alla donna apparve un gran nasone,
un volto da caprone, ma era Sua Maestà.
"Se voi non foste il mio sovrano",
Carlo si sfila il pesante spadone,
"non celerei il disìo di fuggirvi lontano;
ma poiché siete il mio signore",
Carlo si toglie l'intero gabbione,
"debbo concedermi spoglia ad ogni pudore".
Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente d'onor si ricoprì
e giunto alla fin della tenzone,
incerto sull'arcione, tentò di risalir.
Veloce lo arpiona la pulzella,
repente, una parcella presenta al suo signor,
"Deh, proprio perché voi siete il Sire,
fan 'zinque' mila lire, è un prezzo di favor".
"E' mai possibile, o porco di un cane,
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane?
Anche sul prezzo c'è poi da ridire,
ben mi ricordo che pria di partire
v'eran tariffe inferiori alle tremila lire".
Ciò detto, agì da gran cialtrone,
con balzo da leone in sella si lanciò,
frustando il cavallo come un ciuco,
fra i glicini e il sambuco il Re si dileguò.
Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra cingendolo d'allor;
al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura del sire vincitor.

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Bocca Di Rosa
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
La chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano "Bocca di Rosa",
metteva l'amore sopra ogni cosa.
Appena scesa alla stazione
del paesino di Sant'Ilario,
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.
C'è chi l'amore lo fa per noia,
chi se lo sceglie per professione,
Bocca di Rosa nè l'uno nè l'altro,
lei lo faceva per passione.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
E fu così che da un giorno all'altro
Bocca di Rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
Ma le comari d'un paesino
non brillano certo in iniziativa,
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie,
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.
E, rivolgendosi alle cornute,
le apostrofò con parole argute:
"il furto d'amore sarà punito",
disse, "dall'ordine costituito".
E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
"quella schifosa ha già troppi clienti,
più di un consorzio alimentare".
Ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi, con i pennacchi,
ed arrivarono quattro gendarmi,
con i pennacchi e con le armi.
Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri,
ma quella volta a prendere il treno
l'accompagnarono malvolentieri.
Alla stazione c'erano tutti,
dal commissario al sacrestano,
alla stazione c'erano tutti,
con gli occhi rossi e il cappello in mano,
a salutare chi per un poco,
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l'amore nel paese.
C'era un cartello giallo
con una scritta nera,
diceva "Addio Bocca di Rosa,
con te se ne parte la primavera".
Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale,
come una freccia dall'arco scocca,
vola veloce di bocca in bocca.
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva,
chi manda un bacio, chi getta un fiore,
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza,
fra un miserere e un'estrema unzione,
il bene effimero della bellezza,
la vuole accanto in processione.
E con la Vergine in prima fila
e Bocca di Rosa poco lontano,
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano.

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Il Pescatore (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
All'ombra dell'ultimo sole,
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino,
due occhi grandi da bambino,
due occhi enormi di paura:
eran gli specchi d'un'avventura.
E chiese al vecchio "dammi il pane,
ho poco tempo e troppa fame"
e chiese al vecchio "dammi il vino,
ho sete e sono un assassino".
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno,
non si guardò neppure intorno,
ma versò il vino, spezzò il pane
per chi diceva "ho sete, ho fame".
E fu il calore d'un momento,
poi via di nuovo verso il vento,
poi via di nuovo verso il sole,
dietro le spalle un pescatore.
Dietro le spalle un pescatore,
e la memoria è già dolore,
è già il rimpianto d'un aprile
giocato all'ombra d'un cortile.
Vennero in sella due gendarmi,
vennero in sella con le armi,
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole,
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso;
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.

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Creuza De Mä
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Mauro Pagani)
Umbre de muri, muri de mainé:
dunde ne vegnì, duve l'è ch'ané?
De 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua,
e a muntä l'àseo gh'é restou Diu:
u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu;
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
a a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria.
E 'nt'a cä de pria chi ghe saià,
int'à cä du Dria che u nu l'è mainà?
Gente de Lûgan, facce de mandillä,
quei che du luassu preferiscian l'ä,
figge de famiggia, udù de bun,
che ti peu ammiàle sensa u gundun.
E a 'ste panse veue cose che daià,
cose da beive, cose da mangiä?
Frittûa de pigneu, giancu de Purtufin,
çervelle de bae 'nt'u meximu vin,
lasagne da fiddià ai quattru tucchi,
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi (*).
E 'nsc'ià barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi,
emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi,
finché u matin crescià da puéilu rechéugge,
frè di ganeuffeni e de figge,
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza (**) de mä.
(*) - "Lévre de cuppi": Gatto.
(**) - "Creuza": Qui impropriamente tradotto "mulattiera". In realtà la Creuza è nel genovesato una strada suburbana che scorre fra due muri che solitamente determinano i confini di proprietà.

Traduzione dal genovese: "Mulattiera Di Mare"
Ombre di facce, facce di marinai:
da dove venite, dov'è che andate?
Da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola,
e a montare l'asino c'è rimasto Dio:
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido;
usciamo dal mare per asciugare le ossa dell'Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra.
E nella casa di pietra chi ci sarà,
nella casa dell'Andrea che non è marinaio?
Gente di Lugano, facce da tagliaborse,
quelli che della spigola preferiscono l'ala,
ragazze di famiglia, odore di buono,
che puoi guardarle senza preservativo.
E a queste pance vuote cosa gli darà,
cosa da bere, cosa da mangiare?
Frittura di pesciolini, bianco di Portofino,
cervelle di agnello nello stesso vino,
lasagne da tagliare ai quattro sughi,
pasticcio in agrodolce di lepre di tegole.
E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli,
emigranti della risata con i chiodi negli occhi,
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere,
fratello dei garofani e delle ragazze,
padrone della corda marcia d'acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.

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Fiume Sand Creek
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura,
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura,
fu un generale di vent'anni,
occhi turchini e giacca uguale;
fu un generale di vent'anni,
figlio d'un temporale.
C'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte,
chiusi gli occhi per tre volte,
mi ritrovai ancora lì;
chiesi a mio nonno "è solo un sogno?",
mio nonno disse "sì".
A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek.
Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso,
il lampo in un orecchio, nell'altro il Paradiso,
le lacrime più piccole,
le lacrime più grosse
quando l'albero della neve
fiorì di stelle rosse.
Ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek.
Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo e tende capovolte,
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare,
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare.
La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek.
Si son presi i nostri cuori sotto una coperta scura,
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura,
fu un generale di vent'anni,
occhi turchini e giacca uguale;
fu un generale di vent'anni,
figlio d'un temporale.
Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.

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Il Testamento Di Tito
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
"Non avrai altro Dio all'infuori di me",
spesso mi ha fatto pensare;
genti diverse venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale:
credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male;
credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
"Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano":
con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore;
ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano.
"Onora il padre, onora la madre
e onora anche il loro bastone",
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore,
non ho provato dolore;
quando a mio padre si fermò il cuore,
non ho provato dolore.
"Ricorda di santificare le feste":
facile, per noi ladroni,
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni,
senza finire legati agli altari,
sgozzati come animali;
senza finire legati agli altari,
sgozzati come animali.
Il quinto dice "non devi rubare"
e forse io l'ho rispettato,
vuotando in silenzio le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio;
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.
"Non commettere atti che non siano puri",
cioè non disperdere il seme,
feconda una donna ogni volta che l'ami,
così sarai uomo di fede;
poi la voglia svanisce e il figlio rimane,
e tanti ne uccide la fame,
io, forse, ho confuso il piacere e l'amore,
ma non ho creato dolore.
Il settimo dice "non ammazzare,
se del cielo vuoi essere degno":
guardàtela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno,
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno;
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
"Non dire falsa testimonianza"
e aiutali a uccidere un uomo;
lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono:
ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e, no, non ne provo dolore;
ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e, no, non ne provo dolore.
"Non desiderare la roba degli altri",
"non desiderarne la sposa":
ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri già caldi d'amore
non ho provato dolore;
l'invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore;
nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore.

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Via Del Campo (PFM)
(Testo e Musica: Fabrizio De André)
Via del Campo c'è una graziosa,
gli occhi grandi color di foglia,
tutta notte sta sulla soglia,
vende a tutti la stessa rosa.
Via del Campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada,
gli occhi grigi come la strada,
nascon fiori dove cammina.
Via del Campo c'è una puttana,
gli occhi grandi color di foglia,
se di amarla ti vien la voglia,
basta prenderla per la mano;
e ti sembra di andar lontano,
lei ti guarda con un sorriso,
non credevi che il Paradiso
fosse solo lì al primo piano.
Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare,
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone è chiuso.
Ama e ridi se amor risponde,
piangi forte se non ti sente,
dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior;
dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior.

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Quello Che Non Ho
(Testo e Musica: Fabrizio De André e Massimo Bubola)
Quello che non ho è una camicia bianca,
quello che non ho è un segreto in banca,
quello che non ho sono le tue pistole
per conquistarmi il cielo, per guadagnarmi il sole.
Quello che non ho è di farla franca,
quello che non ho è quel che non mi manca,
quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo, per conquistarmi il sole.
Quello che non ho è un orologio avanti
per correre più in fretta e avervi più distanti,
quello che non ho è un treno arrugginito
che mi riporti indietro da dove son partito.
Quello che non ho sono i tuoi denti d'oro,
quello che non ho è un pranzo di lavoro,
quello che non ho è questa prateria
per correre più forte della malinconia.
Quello che non ho sono le mani in pasta,
quello che non ho è un indirizzo in tasca,
quello che non ho sei tu dalla mia parte,
quello che non ho è di fregarti a carte.
Quello che non ho è una camicia bianca,
quello che non ho è di farla franca,
quello che non ho sono le tue pistole
per conquistarmi il cielo, per guadagnarmi il sole.
Quello che non ho...

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