Chi sono
I miei libri
Blog
Luna
Lucky
Siti e gestionali
Fotografie
Video
Mantova Calcio
Cantautori
Scrittori
Altro
Contattami

25

Fabrizio De André - Album
1973: Storia Di Un Impiegato

  Introduzione
Canzone Del Maggio
La Bomba In Testa
Al Ballo Mascherato
Sogno Numero Due
La Canzone Del Padre
Il Bombarolo
Verranno A Chiederti Del Nostro Amore
Nella Mia Ora Di Libertà

Introduzione
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Lottavano, così come si gioca,
i cuccioli del maggio: era normale.
Loro avevano il tempo anche per la galera,
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia, la stessa primavera.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Canzone Del Maggio
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio,
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento,
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento,
anche se voi vi credete assolti,
siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti
"non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente",
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco,
provate pure a credervi assolti:
siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso,
la notte che le "pantere"
ci mordevano il sedere,
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiede,
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte, voi, c'eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate,
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le verità della televisione,
anche se allora vi siete assolti,
siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare,
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte:
per quanto voi vi crediate assolti,
siete per sempre coinvolti;
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

La Bomba In Testa
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
E io contavo i denti ai francobolli,
dicevo "grazie a Dio", "buon Natale",
mi sentivo normale
eppure i miei trent'anni
erano pochi più dei loro,
ma non importa: adesso torno al lavoro.
Cantavano il disordine dei sogni
gli ingrati del benessere francese
e non dàvan l'idea
di denunciare uomini al balcone
di un solo maggio, di un unico paese,
e io, la faccia usata dal buonsenso,
ripeto "non vogliamoci del male"
e non mi sento normale
e mi sorprendo ancora
a misurarmi su di loro,
e adesso è tardi: adesso torno al lavoro.
Rischiavano la strada e per un uomo
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev'essere rischiare,
ma forse non voler più sopportare.
Chissà cosa si prova a liberare
la fiducia nelle proprie tentazioni,
allontanare gli intrusi
dalle nostre emozioni,
allontanarli in tempo
e prima di trovarti solo
con la paura di non tornare al lavoro.
Rischiare libertà strada per strada,
scordarsi le rotaie verso casa,
io ne valgo la pena,
per arrivare ad incontrar la gente
senza dovermi fingere innocente.
Mi sforzo di ripetermi con loro
e più l'idea va di là del vetro,
più mi lasciano indietro,
per il coraggio insieme
non so le regole del gioco,
senza la mia paura mi fido poco.
Ormai sono in ritardo per gli amici,
per l'odio potrei farcela da solo,
illuminando al tritolo
chi ha la faccia e mostra solo il viso,
sempre gradevole, sempre più impreciso.
E l'esplosivo spacca, taglia, fruga
tra gli ospiti di un ballo mascherato,
io mi sono invitato
a rilevar l'impronta
dietro ogni maschera che salta
e a non aver pietà per la mia prima volta.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Al Ballo Mascherato
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Cristo, drogato da troppe sconfitte,
cede alla complicità
di Nobel che gli espone la praticità
di un eventuale premio della bontà.
Maria, ignorata da un Edìpo ormai scaltro,
mima una sua nostalgia di natività,
io con la mia bomba porto la novità,
la bomba che debutta in società,
al ballo mascherato della celebrità.
Dante, alla porta di Paolo e Francesca,
spia chi fa meglio di lui:
lì dietro si racconta un amore normale,
ma lui saprà poi renderlo tanto geniale.
E il viaggio all'Inferno ora fallo da solo
con l'ultima invidia lasciata là, sotto un lenzuolo,
sorpresa sulla porta d'una felicità,
la bomba ha risparmiato la normalità,
al ballo mascherato della celebrità.
La bomba non ha una natura gentile,
ma, spinta da imparzialità,
sconvolge l'improbabile intimità
di un'apparente statua della Pietà.
Grimilde di Manhattan, statua della libertà:
adesso non ha più rivali la tua vanità
e il gioco dello specchio non si ripeterà,
"sono più bella io o la statua della Pietà?",
dopo il ballo mascherato della celebrità.
Nelson, strappato al suo carnevale,
rincorre la sua identità
e cerca la sua maschera, l'orgoglio, lo stile,
impegnàti sempre a vincere e mai a morire.
Poi dalla feluca, ormai a brandelli,
tenta di estrarre il coniglio della sua Trafalgàr
e nella sua agonia, sparsa di qua, di là,
implora una "Sant'Elena" anche in comproprietà,
al ballo mascherato della celebrità.
Mio padre pretende aspirina ed affetto
e inciampa nella sua autorità,
affida a una vestaglia il suo ultimo ruolo,
ma lui esplode dopo, prima il suo decoro.
Mia madre si approva in frantumi di specchio,
dovrebbe accettare la bomba con serenità:
il martirio è il suo mestiere, la sua vanità,
ma ora accetta di morire soltanto a metà,
la sua parte ancora viva le fa tanta pietà,
al ballo mascherato della celebrità.
Qualcuno ha lasciato la luna nel bagno,
accesa soltanto a metà:
quel poco che mi basta per contare i caduti,
stupirmi della loro fragilità;
e adesso puoi togliermi i piedi dal collo,
amico che m'hai insegnato il "come si fa",
se no ti porto indietro di qualche minuto,
ti metto a conversare, ti ci metto seduto
tra Nelson e la statua della Pietà,
al ballo mascherato della celebrità.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Sogno Numero Due
(Testo: Fabrizio De André e Roberto Dané; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Imputato, ascolta:
noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo,
piantata tra l'aorta e l'intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell'ultima emozione,
quando uccidevi,
favorendo il potere,
i soci vitalizi del potere,
ammucchiati in discesa
a difesa della loro celebrazione.
E, se tu la credevi vendetta,
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere,
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge,
quello che non protegge:
la parte del boia.
Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio,
quello della mia
è l'indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato,
il potere ti è grato.
Ascolta,
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

La Canzone Del Padre
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
solo i sogni che non fanno svegliare?
Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi.
C'è lì un posto: lo ha lasciato tuo padre.
Non dovrai che restare sul ponte
e guardare le altre navi passare,
le più piccole dirigile al fiume,
le più grandi sanno già dove andare.
Così son diventato mio padre,
ucciso in un sogno precedente,
il tribunale mi ha dato fiducia:
assoluzione e delitto, lo stesso movente.
E ora Berto, figlio della lavandaia,
compagno di scuola, preferisce imparare
a contare sulle antenne dei grilli,
non usa mai bolle di sapone per giocare;
seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici,
avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi;
si fermò un attimo per suggerire a Dio
di continuare a farsi i fatti suoi
e scappò via con la paura di arrugginire,
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito,
i becchini ne raccolgono spesso
fra la gente che si lascia piovere addosso.
Ho investito il denaro e gli affetti:
banca e famiglia danno rendite sicure;
con mia moglie si discute l'amore,
ci sono distanze, non ci sono paure,
ma ogni notte lei mi si arrende più tardi,
vengono uomini, ce n'è uno più magro,
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.
Commissario, io ti pago per questo:
lei ha gli occhi di una donna che è mia,
l'uomo magro ha le mani occupate,
una valigia di ciondoli, un foglio di via.
Non ha più la faccia del suo primo hashish,
è il mio ultimo figlio, il meno voluto,
ha pochi stracci dove inciampare,
non gli importa d'alzarsi neppure quando è caduto;
e i miei alibi prendono fuoco,
il Guttuso ancora da autenticare,
adesso le fiamme mi avvolgono il letto:
questi i sogni che non fanno svegliare.
Vostro Onore, sei un figlio di troia,
mi sveglio ancora e mi sveglio sudato,
ora aspettami fuori dal sogno,
ci vedremo davvero:
io ricomincio da capo.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Il Bombarolo
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro,
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente,
ancora poche ore,
poi gli darò la voce:
il detonatore.
Il mio Pinocchio fragile,
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale,
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io son d'un'altra razza:
son bombarolo.
Nel scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone,
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l'amnistia.
Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso:
son bombarolo.
Intellettuali d'oggi,
idioti di domani,
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione,
oggi farò da me
senza lezione.
Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti,
ma finchè li cerco io,
i latitanti sono loro,
ho scelto un'altra scuola:
son bombarolo.
Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci
dai tuoi aereoplani,
io vengo a restituirti
un po' del tuo terrore,
del tuo disordine,
del tuo rumore.
Così pensava forte
un trentenne disperato,
se non del tutto giusto,
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo,
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d'un bombarolo.
C'è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento,
aspettando l'esplosione
che provasse il suo talento,
c'è chi lo vide piangere
un torrente di vocali,
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.
Ma ciò che lo ferì
profondamente nell'orgoglio
fu l'immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio,
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Verranno A Chiederti Del Nostro Amore
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Quando, in anticipo sul tuo stupore,
verranno a chiederti del nostro amore,
a quella gente consumata nel farsi dar retta,
un amore così lungo,
tu, non darglielo in fretta;
non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole,
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore,
dopo l'amore così sicure
a rifugiarsi nei "sempre",
nell'ipocrisia dei "mai":
non son riuscito a cambiarti,
non mi hai cambiato, lo sai?
E dietro ai microfoni porteranno uno specchio
per farti più bella e pensarmi già vecchio,
tu regalagli un trucco che con me non portavi
e loro si stupiranno
che tu non mi bastavi;
digli pure che il potere io l'ho scagliato dalle mani,
dove l'amore non era adulto e ti lasciavo graffi sui seni,
per ritornare dopo l'amore
alle carezze dell'amore,
era facile ormai:
non sei riuscita a cambiarmi,
non ti ho cambiata, lo sai?
Digli che i tuoi occhi me li han ridati sempre,
come fiori regalati a maggio e restituiti in novembre,
i tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro,
i tuoi occhi assunti da tre anni,
i tuoi occhi per loro;
ormai buoni per setacciare spiagge con la scusa del corallo
o per buttarsi in un cinema con una pietra al collo
e troppo stanchi per non vergognarsi
di confessarlo nei miei,
proprio identici ai tuoi:
sono riusciti a cambiarci,
ci son riusciti, lo sai?
Ma senza che gli altri ne sappiano niente,
dimmi, senza un programma, dimmi come ci si sente,
continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito,
farai l'amore per amore
o per avercelo garantito;
andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori
o resterai più semplicemente
dove un attimo vale un altro,
senza chiederti come mai,
continuerai a farti scegliere,
o finalmente sceglierai?

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA

Nella Mia Ora Di Libertà
(Testo: Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; Musica: Fabrizio De André e Nicola Piovani)
Di respirare la stessa aria
d'un secondino non mi va,
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà,
se c'è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l'aria di quel cortile,
voglio soltanto che sia prigione;
che non sia l'aria di quel cortile,
voglio soltanto che sia prigione.
E' cominciata un'ora prima
e un'ora dopo era già finita,
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l'uscita,
non mi aspettavo un vostro errore,
uomini e donne di tribunale,
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare;
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare.
Fuori dell'aula, sulla strada,
ma in mezzo al fuori anche fuori di là,
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità,
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno, ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera;
e poi lo sanno, ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.
Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei
si sta chiedendo tutto in un giorno,
si suggerisce, ci giurerei,
quel che dirà di me alla gente,
quel che dirà ve lo dico io:
"da un po' di tempo era un po' cambiato,
ma non nel dirmi 'amore mio'";
"da un po' di tempo era un po' cambiato,
ma non nel dirmi 'amore mio'".
Certo, bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza,
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni;
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali,
tranne qual è il crimine giusto
per non passare da criminali.
C'hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane,
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame;
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
e abbiam deciso di imprigionarli
durante l'ora di libertà;
venite adesso alla prigione,
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta:
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti;
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

TORNA ALL'INIZIO DELLA PAGINA